LE REGOLE DI FUNZIONAMENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA: YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.
LE REGOLE DI FUNZIONAMENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA
di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
La Corte costituzionale italiana funziona secondo l’articolo 16, della Legge Costituzionale del 11 marzo 1953, n. 87[1], in base al principio della collegialità[2]. È in tale collegio che si approva il dispositivo delle risoluzioni e la motivazione contenuta nel progetto di sentenza presentato dal giudice redattore. Nel caso delle ordinanze l’approvazione è di forma tacita. In base al principio della collegialità, ne consegue che la Corte costituzionale adotti le proprie delibere senza che formalmente risultino le dissenting opinion [3].
Riguardo all’organizzazione delle attività del collegio, questa è coordinata dal Presidente della Corte costituzionale[4] che è eletto, in base all’articolo 135 quinto comma della Costituzione, dalla Corte stessa fra i suoi componenti[5] per la durata di tre anni[6], – o per il minor periodo che manca alla scadenza del suo mandato di giudice costituzionale – con la possibilità di essere rieletto, sempre nei limiti del suo mandato di giudice. In base all’articolo 6, della Legge Costituzionale del 11 marzo 1953 n. 87, e dell’articolo 7 del Regolamento generale della Corte costituzionale, la votazione per il Presidente avviene a scrutinio segreto e richiede la maggioranza assoluta dei membri. Se non si raggiunge tale maggioranza nelle prime due votazioni, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto più voti, eleggendo – in caso di parità – il più anziano in carica e in mancanza, il più anziano di età. Tipico è l’uso di distruggere le schede della votazione dopo la proclamazione, similmente a quanto accade in conclave per le elezione del papa[7].
Su quest’argomento, una spinosa questione[8] si è posta riguardo alla partecipazione all’elezione del Presidente uscente, il quale contestualmente scade anche dalla carica di giudice. Infatti, l’articolo 7, del Regolamento generale della Corte costituzionale prevedeva originariamente che l’elezione avvenisse sotto la Presidenza del Presidente uscente o del giudice più anziano, così il Presidente uscente, quale ultimo atto prima di lasciare la Corte, convocava e presiedeva l’elezione del suo successore, in tal modo, di fatto, gli consentiva di influenzare in maniera spesso decisiva la scelta del successore. Questa prassi era giustificata in conformità a argomenti non del tutto convincenti, quali la necessità di evitare discontinuità, anticipando l’elezione del nuovo Presidente, e l’opportunità che il vecchio Presidente contribuisse a una decisione importante per la vita della Corte. Tuttavia, nel giugno del 1987[9], si è aperto al riguardo a un contrasto abbastanza aspro all’interno della Corte, al punto da portare alle dimissioni del giudice Ferrari, non eletto Presidente in ragione del “contributo” del Presidente uscente.
Da allora, si è modificata prima la prassi e poi anche il testo dell’’articolo 7, del Regolamento generale della Corte [10], con Delibera del 20 gennaio 1966 e successive modificazioni, per cui, ora, l’elezione del presidente avviene sotto la presidenza del giudice più anziano in carica, quindi senza il Presidente uscente che sia anche scaduto da giudice costituzionale. Del resto, accade spesso che il mandato presidenziale termini per scadenza dal mandato di giudice piuttosto che per il compimento del triennio, poiché, di fatto, il criterio di scelta notevolmente prevalente è stato quello dell’anzianità in carica. In pratica, quasi automaticamente, è eletto Presidente il giudice di volta in volta più vicino alla scadenza del mandato, anche per pochi mesi ad esempio il caso della presidenza Caianiello, durata 45 giorni nel 1995. Perciò questo criterio corporativo, di distribuzione a turno della massima carica onorifica, contribuisce alla spersonalizzazione dello status di Presidente, a favore della collegialità della Corte e, allo stesso tempo rende frammentaria e discontinua la direzione organizzativa dell’organo. Ad ogni modo, fino a ora, solo in tre casi si sono avuti presidenti che hanno completato il mandato triennale: Ambrosini (1966), Elia (1984) e Saja (1990), i quali sono stati anche rieletti alla massima carica[11] .
Per di più, tra le attribuzioni del Presidente della Corte costituzionale[12], si possono ricordare che, è lui che inizia e conclude la adunanza[13], regola la discussione[14], ha la rappresentanza dell’organo costituzionale[15], esercita i poteri di polizia della sede[16], ha la facoltà di ridurre i termini processuali[17]della metà, inoltre, a norma dell’articolo 9, della Legge Costituzionale n. 1/1953[18], sovrintende alle Commissioni interne della Corte costituzionale[19], ad esempio, la Commissione per gli studi e i regolamenti o la Commissione per la biblioteca[20], oltre a ciò, nomina il giudice che deve attuare nell’istruzione (giudice istruttore) e nella redazione della causa (giudice relatore)[21], segnala la data dell’udienze[22] di trattazione e di riunione dei giudizi[23], convoca la Corte costituzionale per attuare nella Camera di Consiglio[24], quando si tratta di casi di manifesta inammissibilità o infondatezza, infine, nei casi di parità dei voti fra i giudici, il suo voto espresso per ultimo, vale doppio[25].
Su quest’ultimo punto, resta da segnalare che il quorum strutturale della Corte costituzionale è di undici membri, che però quando si tratta nelle sedi non giurisdizionali, questa varia riguardo alla sua funzione, inoltre, nei giudizi di accusa[26]il quorum è di ventuno membri[27], di conseguenza, il quorum funzionale per regola consiste nella maggioranza assoluta dei votanti. Ed ancora, il citato articolo 16, comma 3, della Legge n. 87/1953, ha introdotto la regola dell’immutabilità del collegio, disponendo che le decisioni sono deliberate in Camera di Consiglio dai giudici presenti in tutte le udienze nel quale è stato svolto il giudizio, e anche più restrittivamente, l’articolo 18, comma 1, delle Norme Integrative[28], dispone che alla deliberazione devono partecipare tutti i giudici che siano stati presenti a tutte le udienze fino alla chiusura della discussione della causa, con la conseguenza che se un giudice non partecipa ad esempio in caso di decesso, i procedimenti vengono rinviati ad un nuovo ruolo.
Inoltre, i poteri[29] esercitabili dal Presidente della Corte costituzionale sono abbastanza forti, infatti, non è cosa da poco, ad esempio il poter decidere che un’udienza in tema di disciplina legislativa della propaganda elettorale delle elezioni si tengano a ridosso, dopo di esse; o che una disposizione controversa del codice penale sia discussa prima, durante, o dopo la legge di riforma in discussione in Parlamento, o simili. Così pure, ha rilievo politico in lato sensu anche stabilire chi sarà il giudice relatore su una determinata questione, e ugualmente importanti appaiono altri poteri esercitabili dal Presidente, basti pensare che mediante un sapiente uso dei ruoli delle udienze negli anni 80 il Presidente Saja raggiunse lo scopo di eliminare l’arretrato da anni accumulatosi[30].
D’altra parte, è da riferire che annualmente, in genere alla fine del mese di gennaio, il Presidente della Corte costituzionale svolge un notevole ruolo istituzionale con la conferenza-stampa[31], in cui si ripercorrono gli orientamenti dell’annata di giurisprudenza costituzionale, tracciandone un bilancio. Infine, va ricordato che il relativo processo costituzionale, a norma dell’articolo 21 della Legge Costituzionale n. 87/1953[32], dell’articolo 30 delle Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale del 7 ottobre 2008, dell’ordinanza n. 73/1965 e sentenza n. 75/1965[33], è gratuito, per questo motivo tutti gli atti sono esonerati da tasse di ogni specie.
NOTE:
[1]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, op. cit., p. 29; R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, cit., p. 477.
[2]Ogni giudice, entrando a far parte della Corte, si immette nel “collegio” apportando il contributo della sua personalità e lavorando a stretto contatto con gli altri giudici. È infatti una caratteristica essenziale della Corte costituzionale quella di essere un organo “collegiale”: le sue decisioni non sono prese da una né da poche persone, ma sempre dal collegio, cioè dall’insieme dei giudici (da undici – numero minimo richiesto perché la Corte possa deliberare – a quindici, il totale dei membri). Di fatto, il numero limitato dei giudici, il metodo collegiale e l’esclusività dell’impegno nel lavoro della Corte (durante il mandato i giudici non possono svolgere nessun’altra attività professionale, e tanto meno attività politica), la durata del mandato e la lunga consuetudine di lavoro comune (quando la Corte è riunita, tutti i giudici trascorrono sei – sette ore al giorno nella “camera di consiglio”, ove discutono tra loro e deliberano nel totale segreto) fanno sì che la fisionomia e le dinamiche interne della Corte siano legate essenzialmente alla personalità dei suoi componenti. Nello stesso tempo, poiché il “prodotto” della Corte (le sue decisioni) è sempre e solo collettivo, esso va sempre considerato come il frutto della integrazione fra i diversi apporti individuali. Cfr. E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 66 ss; CORTE COSTITUZIONALE, Che cosa è la Corte costituzionale, cit., pp. 23 ss.
[3]V. articolo 18, della Legge Costituzionale n. 1/1953, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 30; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 81 ss; L. MEZZETTI, Manuale Breve Diritto Costituzionale, cit., p. 393; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 63 ss; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp.89 ss; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 54 ss.
[4]V. riguardo al Presidente della Corte T. MARTINES, Diritto Costituzionale, cit., pp. 303 ss; DI CELSO M. MAZZIOTTI, G.M. SALERNO, Manuale di Diritto Costituzionale, cit., pp. 503 ss; R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, cit., pp. 478 ss; L. PEGORARO, A. REPOSO, A. RINELLA, R. SCARCIGLIA, M. VOLPI, Diritto Costituzionale e Pubblico, cit., pp. 434 ss; M.S. CICCONETTI, Lezioni di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 13 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 67 ss; G.U. RESCIGNO, Corso di Diritto Pubblico, cit., pp. 460 ss; P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., pp. 384 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 49 ss; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp.86 ss; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 34 ss.
[5]V. articoli 6, della Legge Costituzionale n. 87/1953 e 7 del Regolamento Generale della Corte costituzionale italiana del 20 gennaio 1966 e successive modificazioni, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 25 e 66.
[6]Il Presidente dura in carica tre anni ed è rieleggibile. Poiché però la scadenza del mandato novennale di giudice comporta la cessazione di ogni funzione, spesso accade che il Presidente – che i giudici scelgono di solito, ma non sempre, fra i colleghi più anziani (non di età, ma di mandato) – venga a cessare dal mandato prima del compimento del triennio. È per questo che la durata della presidenza della Corte è spesso breve, cosicché nella vita della Corte si sono succeduti, in cinquantatre anni, 33 Presidenti. Cfr. P. BARILE, E. CHELI, S. GRASSI, Istituzioni di diritto pubblico, cit., pp. 167 ss.
[7]Il Presidente è eletto dai giudici a scrutinio segreto, a maggioranza assoluta (cioè di almeno otto voti, se la Corte è completa), e con eventuale ballottaggio fra i due più votati dopo la seconda votazione. Per evitare che si conosca all’esterno il voto espresso da ogni giudice nelle schede con cui si provvede all’elezione, queste vengono immediatamente distrutte dopo il voto dagli scrutatori. Anche l’autonomia della Corte nella scelta del proprio Presidente ne esalta le caratteristiche di collegialità.
[8]Cfr. A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 35 ss.
[9]Ibidem, pp. 35 ss.
[10]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 66 ss.
[11]Cfr. F. BONINI, Storia della Corte costituzionale, cit., pp. 353 ss.
[12]Egli rappresenta la Corte all’esterno (è la quarta autorità dello Stato, equiparata al Presidente del Consiglio, nell’ordine ufficiale delle precedenze, dopo il Presidente della Repubblica e i Presidenti delle due Camere). Uno o due vicepresidenti, designati dal Presidente o dalla Corte, sostituiscono il Presidente in caso di assenza o impedimento.
[13]La Corte si riunisce in udienza pubblica, nell’apposita aula del palazzo della Consulta, normalmente ogni due settimane, il martedì mattina alle 9.30. Dietro il banco a forma di ferro di cavallo siedono i giudici (al centro il Presidente), in posti fissati, dai più anziani di mandato (vicino al centro) a quelli di più recente nomina (alle ali). Tutti indossano la toga nera, disegnata sul modello di un “robone” senese del ’500. Nelle occasioni solenni indossano anche un collare dorato con una medaglia, e portano con sé il “tocco”, il copricapo tradizionale. In un banco a parte, lateralmente, siede il cancelliere, in toga nera, incaricato di redigere il verbale dell’udienza, nel quale però non vengono riportati i contenuti delle singole esposizioni orali, salvo che non sia espressamente richiesta qualche specifica verbalizzazione, ma si dà solo atto dei vari interventi. Accanto al cancelliere siede il messo, in mantello rosso, che chiama le cause nell’ordine del ruolo o in quello determinato dal Presidente. Di fronte allo scranno dei giudici è collocato il banco degli avvocati che intervengono a discutere le cause (anch’essi in toga nera). Deve trattarsi di avvocati abilitati a difendere davanti alle “giurisdizioni superiori”, per il che si richiedono almeno dodici anni di professione forense. Essi prendono la parola, nell’ordine indicato dal Presidente, dopo la relazione del giudice relatore. Di consueto i giudici ascoltano soltanto e non interrogano gli avvocati, che espongono senza interruzioni i loro argomenti. Per ultimo, nelle questioni incidentali, parla l’avvocato dello Stato che rappresenta il Presidente del Consiglio (o l’avvocato della Regione, se si tratta di una legge regionale). Normalmente non sono consentite repliche. Alle spalle degli avvocati vi è posto per i giornalisti e gli assistenti di studio dei giudici costituzionali. Dietro, vi sono le sedie per il pubblico, per lo più costituito da gruppi di studenti universitari o di scuole medie superiori, che vengono ad assistere all’udienza per conoscere da vicino come lavora la Corte. Talvolta assistono gruppi di persone appartenenti alle categorie interessate a qualcuna delle questioni discusse. V. articolo 5, del Regolamento Generale della Corte costituzionale italiana del 20 gennaio 1966 e successive modificazioni, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit, p. 64; CORTE COSTITUZIONALE, Che cosa è la Corte costituzionale, cit., pp. 44 ss.
[14]V. articolo 17, delle Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, del 16 marzo 1956 e successive. Ibidem, p. 51.
[15]V. articolo 22, del Regolamento Generale della Corte costituzionale italiana del 20 gennaio 1966 e successive modificazioni in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 71; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., p. 51.
[16]V. articoli 1 e 2, del Regolamento Generale della Corte costituzionale italiana del 20 gennaio 1966 e successive modificazioni in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 63; riguardo all’esercizio del potere di polizia della sede v. P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., p. 385.
[17]Cfr. T. MARTINES, Il presidente della Corte costituzionale, in G.C., 1981, I, pp. 2057 ss. Tra le altre modalità che si riconoscono al presidente di esercitare una propria influenza vengono ricordati il potere di ridurre a meno della metà i termini dei procedimenti, la facoltà di convocare la Corte in camera di consiglio, di provvedere personalmente all’interrogatorio ed agli atti di istruzione quando il presidente della Repubblica è sottoposto a procedimenti d’accusa.
[18]Su questo aspetto v. A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 87 ss.
[19]V. articoli 26 al 29, del Regolamento Generale della Corte costituzionale italiana del 20 gennaio 1966 e successive modificazioni in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 74 ss.
[20]Il Presidente della Corte costituzionale italiana sovraintende alla struttura e all’attività amministrativa della Corte, cui però è preposto, il Segretario generale. Un Ufficio di Presidenza ha compiti deliberativi in alcune materie di organizzazione e di amministrazione. Commissioni composte da alcuni giudici vengono costituite per particolari funzioni amministrative (predisposizione di regolamenti, gestione del servizio studi e della biblioteca, rapporti con il personale, ecc.).
[21]Il Presidente, per ogni causa, designa un giudice relatore. L’incarico è distribuito fra i giudici, con esclusione (normalmente) del solo Presidente. In ogni udienza dunque, e in ogni camera di consiglio, si alternano diversi relatori per la discussione delle diverse cause fissate. Non ci sono regole fisse con cui il Presidente sceglie il relatore di ogni causa. A parte l’esigenza di distribuire il lavoro fra tutti i giudici, tenendo conto della gravosità della causa, di fatto il Presidente segue per lo più il criterio di assegnare la causa al giudice che sia già stato relatore su cause concernenti problemi simili, e si orienta a rispettare le competenze per materia dei giudici i quali, per i loro studi o per le loro esperienze precedenti, hanno normalmente una più approfondita conoscenza di certi settori del diritto piuttosto che di altri (diritto penale, procedura penale, diritto civile, diritto del lavoro, diritto tributario, diritto amministrativo, ecc.). Ma si tratta di criteri assai approssimativi, poiché, comunque, ogni questione pone problemi di applicazione della Costituzione che possono essere simili anche se riguardano settori diversi di materia; e inoltre vi sono campi del diritto in cui le questioni di costituzionalità vengono sollevate più frequentemente, e dunque tutti i giudici dovranno, una volta o l’altra, occuparsene. Per le cause più complesse e più delicate, poi, la scelta può essere guidata da specifiche ragioni di opportunità apprezzate dal Presidente. La scelta del relatore è importante, perché si tratta di colui che, approfondendo tutti gli aspetti della causa, propone al collegio i termini della questione e le possibili soluzioni; ma non è comunque decisiva ai fini della sorte della causa, poiché l’opinione del relatore non sempre diventa quella dell’intera Corte. Questo è conseguenza della collegialità piena che caratterizza il suo lavoro. Né il relatore è l’unico a conoscere preventivamente la questione e ad averla studiata. La preparazione del materiale per ogni causa da discutere è affidata ad un assistente di studio del giudice relatore, il quale redige una “ricerca”, in cui include, in modo ragionato, i testi normativi, le precedenti decisioni della stessa Corte in argomento, le pronunce significative dei giudici comuni e gli scritti di studiosi che possono avere rilievo per l’argomento della questione e per la sua decisione. La ricerca (in volumi di centinaia di pagine) è distribuita a tutti i giudici, così che ciascuno è messo in grado di studiare approfonditamente la causa. Talvolta, nei casi più rilevanti e complessi, al materiale distribuito ai giudici si può accompagnare una ricerca sulla legislazione e sulla giurisprudenza di altri paesi simili al nostro, o di Corti internazionali, in cui analoghe questioni o problemi simili siano stati affrontati. Ciò dipende dal fatto che i principi costituzionali validi nei diversi ordinamenti si rifanno spesso a idee o impostazioni comuni (una specie di diritto costituzionale comune), e quindi anche i problemi di costituzionalità che si presentano nei vari paesi possono essere simili. La Corte può trarre, da queste esperienze, indicazioni o spunti utili per la propria decisione. V. articolo 7, delle Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, del 16 marzo 1956 e successive, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 48; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., p.87; CORTE COSTITUZIONALE, Che cosa è la Corte costituzionale, cit., pp. 43 ss.
[22]È da rilevare che il Presidente, nell’ambito di un calendario di massima prefissato per tutto l’anno, seleziona le cause da discutere in ciascuna riunione, sceglie il giudice costituzionale incaricato di riferire su di esse (giudice relatore) e stabilisce il ruolo di ogni seduta, cioè l’elenco delle cause da discutere. Due sono le forme in cui ha luogo la trattazione delle cause. Si può avere un’udienza pubblica, cioè una riunione aperta al pubblico, nel corso della quale, dopo che il giudice relatore ha illustrato la questione così come proposta, gli avvocati che rappresentano i soggetti intervenuti nel giudizio espongono le loro tesi davanti alla Corte riunita. Al termine dell’udienza pubblica, la Corte si riunisce di nuovo, ma in camera di consiglio, senza pubblicità, per deliberare sulla causa. Oppure la causa può essere trattata direttamente in camera di consiglio, senza previa discussione pubblica e sulla base dei soli atti scritti. Si ricorre a questa procedura semplificata quando non vi sono parti intervenute davanti alla Corte (può esserci solo la memoria dell’Avvocatura dello Stato o dell’avvocato del Presidente regionale); oppure, anche quando vi siano parti, se il Presidente della Corte ritiene probabile che la questione possa essere senz’altro respinta perché palesemente infondata o inammissibile (per esempio in conformità a precedenti decisioni in materia): la decisione finale spetta comunque sempre alla Corte. Di fatto, non più di un terzo delle cause, in media, sono discusse in udienza pubblica. La Corte, sia in udienza pubblica sia in camera di consiglio, si riunisce nella sua composizione plenaria di quindici giudici (o fino al minimo di undici, se c’è qualche posto vacante o qualche assenza). Non si suddivide mai in sezioni o collegi minori composti da una parte dei giudici. Soltanto quando si riunisce per giudicare i ricorsi dei suoi dipendenti è previsto che il collegio sia formato da tre soli giudici, preventivamente designati). Il funzionamento in composizione plenaria è reso possibile dal numero non elevatissimo di membri. Esso assicura, di massima, la coerenza degli indirizzi della Corte: negli organi di giustizia costituzionale che si suddividono in sezioni, infatti, queste possono facilmente esprimere indirizzi contrastanti fra di loro. Cfr. CORTE COSTITUZIONALE, Che cosa è la Corte costituzionale, cit., pp. 44 ss;
[23]V. articoli 8 e 14, delle Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, del 16 marzo 1956 e successive, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 48 e 50.
[24]È in camera di consiglio, nella totale assenza di pubblicità, che si svolge la discussione tra i giudici per la decisione delle questioni. La Corte si riunisce in camera di consiglio, di regola, ogni due settimane, in concomitanza con l’udienza pubblica (la settimana alterna è utilizzata dai giudici per il lavoro individuale, di preparazione delle cause e di redazione dei testi delle decisioni). Gli orari sono canonici: dalle 9.30 alle 13 e dalle 16 alle 19. Il luogo è la bella aula affrescata, attigua a quella dell’udienza. Attorno a un tavolo ovale allungato siedono i giudici, ciascuno al suo posto fisso, con una piccola postazione microfonica davanti. È in questa sede che il collegio esamina dialetticamente le questioni, sotto la direzione del Presidente; che si delineano le soluzioni, si decide, si approvano le sentenze. Se si pensa che in un anno si tengono all’incirca 18 settimane di camera di consiglio, dal lunedì pomeriggio al venerdì, e ogni giorno di seduta vede riuniti i giudici per 6-7 ore, si può calcolare il numero di ore che i giudici trascorrono ogni anno discutendo fra di loro. Si può capire anche quale assidua consuetudine – si potrebbe dire di vita – caratterizza i quindici giudici costituzionali, in un ambiente i cui riti e le cui regole ricordano a taluno, in qualche modo, quelli di un monastero. La conoscenza reciproca (delle rispettive idee, e dei rispettivi caratteri) è, dopo qualche mese, molto intensa. E poiché il mandato di ogni giudice dura nove anni, si può credere che l’esperienza della Corte lasci una forte impronta in chi la compie, e faccia del collegio dei quindici qualcosa di più che la semplice riunione di alcune persone che adottano insieme delle deliberazioni: ne faccia quasi una persona formata da quindici persone. Nella settimana di lavoro collegiale si esaminano prima, normalmente, le cause discusse in udienza pubblica, poi quelle chiamate solo in camera di consiglio. L’esame di una causa può durare pochi minuti, quando il relatore espone una proposta di soluzione che non incontra obiezioni e perciò viene fatta propria immediatamente dalla Corte, o intere giornate, a seconda della complessità e del carattere più o meno controverso delle questioni trattate. I giudici hanno sott’occhio gli atti e il materiale della ricerca. Ma si deve notare che la discussione non si fonda su un progetto di decisione già scritto dal relatore (come accade in altre Corti), e non è quindi orientata da un’ipotesi già formulata. Si inizia con l’esposizione del relatore, che richiama gli eventuali problemi di ammissibilità della questione, e si continua con la discussione, prima sull’ammissibilità stessa e poi sul merito. La relazione si può concludere, secondo la scelta del relatore, con una proposta precisa, o con l’indicazione delle alternative di soluzioni possibili. Quindi intervengono gli altri giudici. Se la questione è di scarso rilievo, può accadere che intervengano solo alcuni di essi; altrimenti, intervengono tutti: l’ordine degli interventi segue l’ordine inverso dell’età anagrafica dei giudici, mentre per ultimo interviene il Presidente. La discussione può continuare, se qualcuno lo chiede, con ulteriori interventi, repliche, richieste di chiarimento o di precisazione. Può anche accadere che qualcuno chieda di differire la discussione a un momento successivo, o di acquisire nuovi elementi per poter approfondire la materia. La discussione comunque non segue necessariamente uno schema fisso: molto dipende dalle richieste dei giudici, oltre che, naturalmente, dalle determinazioni del Presidente che la dirige, ma che a sua volta spesso si rimette alle esigenze espresse dai colleghi. Il relatore può intervenire a dare risposte a singoli interventi, oppure intervenire soltanto alla fine traendo il risultato della discussione e formulando le sue proposte finali, che possono anche non coincidere con quelle eventualmente da lui avanzate all’inizio. È qui, soprattutto, che si misura l’efficacia e l’utilità della discussione collegiale, dalla quale possono emergere sia obiezioni alle tesi del relatore, sia nuove progettazioni, o semplicemente l’indicazione di ulteriori motivi ed argomenti su cui fondare la decisione. Si deve infatti considerare che la decisione della Corte non si sostanzia solo nel cosiddetto dispositivo della pronuncia (dichiarazione di illegittimità costituzionale, dichiarazione di non fondatezza, dichiarazione di inammissibilità della questione), ma anche – e talvolta soprattutto – nella motivazione che lo sorregge. Ci può essere accordo sul dispositivo, ma dissenso sulle motivazioni. Queste sono importanti soprattutto perché costituiscono – più dei dispositivi – il nucleo dei precedenti che verranno richiamati in occasione di cause che successivamente la Corte sia chiamata a decidere nella stessa o analoga materia; e anche perché allo stesso dispositivo possono corrispondere motivazioni che abbiano effetti diversi. Ad esempio, è molto diversa una decisione che dichiara una questione non fondata perché l’incostituzionalità denunciata non sussiste, da una che dichiara la stessa questione sempre non fondata, perché la norma impugnata è da interpretare in un senso diverso da quello indicato dal giudice (le sentenze interpretative di cui si è già parlato). Perciò decidere come si motiva è talvolta persino più importante che decidere se l’incostituzionalità c’è o non c’è. E questo può spiegare anche l’accanimento e la lunghezza di certe discussioni in camera di consiglio. V. gli articoli 9, 27, comma quinto, delle Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, del 16 marzo 1956 e successive, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 49 e 57; Cfr. CORTE COSTITUZIONALE, Che cosa è la Corte costituzionale, cit., pp. 44 ss.
[25]Il Presidente, rispetto all’attività di giudizio, non ha autorità diversa dagli altri giudici, salvo il caso in cui vi sia parità di voti, quando il suo voto vale doppio: è un primus inter pares, i cui poteri consistono essenzialmente nella ripartizione fra i giudici dei compiti di relatore sulle cause, nella fissazione dei calendari dei lavori (il “ruolo” degli affari trattati in ogni seduta), nella convocazione e nella direzione dei lavori del collegio. V. articolo 16, della Legge Costituzionale n. 87/1953, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 30; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., p. 52; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., p.88 ss; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., p. 54.
[26]Cfr. P. BARILE, E. CHELI, S. GRASSI, Istituzioni di diritto pubblico, cit., pp. 167 ss.
[27]V. articolo 26, della Legge Costituzionale n. 20/1962, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit, p. 118; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 53 ss.
[28]V. articolo 18, delle Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, del 16 marzo 1956 e, successive, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 52.
[29]Cfr. L. PEGORARO, Diritto Costituzionale Italiano e Comparato, cit., pp. 917 ss.
[30]Cfr. E. CHELI, Il giudice delle leggi. La Corte costituzionale nella dinamica dei poteri: una nuova edizione aggiornata, cit, pp. 38 ss.
[31]Per un esame profondo delle conferenze-stampa più rilevanti della Corte costituzionale italiana v. www.cortecostituzionale.it.
[32]V. gli articoli 13, ultimo comma, 19, 32, pp. 50, 53 e, 60, delle Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, del 16 marzo 1956 e successive; 21, della Legge Costituzionale n. 87/1953, p. 31; 3, della Legge Costituzionale n. 265, del 18 marzo 1958, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 62.
[33]V. i passaggi salienti dell’ordinanza n. 73/1965 e sentenza n. 75/1965 in www.cortecostituzionale.it.