IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA (LA NON MANIFESTA INFONDATEZZA): YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.
IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA (LA NON MANIFESTA INFONDATEZZA)
di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Il secondo requisito richiesto dalla legge per sollevare validamente una questione in via incidentale come già è stato accennato, è che essa sia non manifestamente infondata.
Il requisito della non manifesta infondatezza indica una forma di controllo particolare, come si desume agevolmente già dalla particolare struttura lessicale della formula, composta da una duplice negazione. Tale espressione, all’apparenza involuta a causa della doppia negazione, ha un preciso significato. Essa indica il punto di equilibrio tra l’esigenza di riservare alla Corte costituzionale la titolarità del giudizio di legittimità sulle leggi (secondo il modello del sindacato accentrato) e quella di evitare che giungano ad essa questioni del tutto prive di una qualche plausibilità. Per questi motivi, l’ordinamento riconosce ad ogni giudice il potere di compiere una delibazione preliminare della sospetta incostituzionalità, la quale è limitata esclusivamente all’accertamento della eventuale “manifesta infondatezza” della questione[1].
In effetti, la struttura del sindacato incidentale fa sì che i giudici comuni svolgano, in modo diffuso[2], una funzione di prima valutazione e di “filtro” delle questioni. Per tali motivi i giudici a quo hanno il potere di delibare le eccezioni di incostituzionalità proposte dalle parti e di respingerle (tramite una separata ordinanza o nella propria sentenza definitiva), nell’ipotesi in cui accertino la manifesta insussistenza del contrasto tra la norma legislativa e il parametro costituzionale.
Come si evince i giudici a quo hanno il particolare ruolo di “portiere”, e selezionano e lasciano accedere alla Consulta unicamente le questioni non manifestamente infondate, ovvero quelle in cui si profila un serio dubbio di incostituzionalità della norma legislativa. Il compito di questa selezione è di evitare che alla Corte affluiscano questioni su cui essa si è già pronunciata nel merito, salvo che il giudice non ritenga possibile un revirement in base a nuovi motivi o per l’evoluzione normativa o della coscienza sociale. La delibazione preliminare da parte del giudice della non manifesta infondatezza nasce come mera valutazione della esistenza o meno della evidente conformità della legge alla Carta Fondamentale.
Infatti, l’oggetto di valutazione non è la prevedibile incostituzionalità della legge, ma solo la consistenza del dubbio relativo. A questo scopo la Legge Costituzionale n. 87 del 1953 stabilisce una preferenza per la rimessione alla Corte, prevedendo che la reiezione delle eccezioni di parte debba essere adeguatamente motivata[3].
Negli ultimi anni, la motivazione sulla non manifesta infondatezza ha tuttavia perso il suo carattere dubitativo (pur sporadicamente da qualche giudice rivendicato), per diventare un ragionato attacco del giudice alla legge. Una siffatta circostanza è avvenuta per una serie di ragioni: 1) perché, essendo l’ordinanza di rimessione l’atto cui la Corte costituzionale fa quasi esclusivo riferimento, il giudice è spinto a dare una argomentazione esaustiva delle ragioni della rimessione; 2) perché la Corte dispone a sua volta del potere di dichiarare manifestamente infondata[4] la questione pervenuta al suo esame, ed utilizza tale potere non più soltanto per confermare le proprie precedenti sentenze, ma anche per affermare l’inconsistenza di questioni portate per la prima volta al suo esame, lasciando così intendere, talvolta apertamente, che la questione doveva essere “fermata” nella fase preliminare dal “portiere”; 3) perché la giurisprudenza costituzionale fa onere al giudice di verificare e argomentare in ordine alla possibilità di risolvere la questione sul piano interpretativo, e ciò comporta che il giudice non possa limitarsi a riscontrare l’esistenza del dubbio, ma debba cercare di superarlo autonomamente, operando una valutazione approfondita della questione prima di rimetterla all’esame della Consulta.
Nel passato la Corte costituzionale affermava, che la non manifesta infondatezza non comporta che il giudice sia convinto della fondatezza e nemmeno esclude che egli rimanga soggettivamente persuaso del contrario; è invece sufficiente che sussistano ragioni di incertezza[5].
Pur quando si esaurisca nella prospettazione alla Corte di un dubbio di incostituzionalità, la non manifesta infondatezza della questione deve essere comunque motivata dal giudice, sia per dimostrare che egli ha effettivamente svolto la sua delibazione, sia per porre la Corte in condizione di valutare i motivi in base ai quali potrebbe sussistere il contrasto della norma legislativa con ciascun parametro costituzionale. La mancanza assoluta di motivazione sulla non manifesta infondatezza, la apodittica affermazione di essa, la mera indicazione numerica dei parametri costituzionali senza esporre le ragioni per cui essi sarebbero violati, costituiscono altrettanti motivi di manifesta inammissibilità della questione. Allo stesso modo, il giudice non può limitarsi a riportare o riferire i motivi di incostituzionalità prospettati nella eccezione di parte, senza nulla aggiungere, o dichiarando di aderire ad essa. Né può limitarsi a motivare la non manifesta infondatezza per relationem, facendo richiamo ad una propria ordinanza – o a quella di altro giudice – emessa in un diverso procedimento.
Il contenuto della motivazione sulla non manifesta infondatezza deve prospettare il contrasto tra una norma legislativa ed uno o più parametri costituzionali, e non può sostanziarsi nella prospettazione di un mero dubbio interpretativo. L’interpretazione della disposizione per ricavarne la norma da sottoporre o meno all’esame della Consulta deve essere compiuta preventivamente ed una volta per tutte dal giudice, perché dalla scelta ermeneutica dipende non solo la valutazione di non manifesta infondatezza, ma anche il carattere attuale e non meramente ipotetico della rilevanza.
La Corte costituzionale negli ultimi anni, per ragioni di economicità e con la finalità di una migliore selezione delle questioni, ha richiesto ai giudici comuni di estendere la propria disamina liminare a profili che incidono solo indirettamente sulla valutazione di non manifesta infondatezza. Perciò ad avviso della Consulta[6], il giudice prima di sollevare la questione, deve compiere lo sforzo di ricercare un’interpretazione costituzionalmente conforme o adeguatrice [7] e deve astenersi dal prospettare interpretazioni perplesse o, a fortiori, del tutto erronee[8].
NOTE:
[1]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 534.
[2]Ad esempio, un processo per omicidio, in cui l’imputato, per allungare i tempi della condanna, sollevi una questione di costituzionalità sulla mancata previsione che la giuria del processo possa essere scelta dallo stesso imputato. La questione sarebbe anche rilevante (riguarda le norme sulla formazione della giuria in quel processo), ma è palesemente priva di ogni minima fondatezza, dovendo il giudice essere terzo e imparziale, come ribadito nell’articolo 111, comma 2 della Costituzione. Questa forma di controllo costituisce, comunque, un elemento di sindacato diffuso che va ad inserirsi nel sistema di controllo accentrato delineato dalla Costituzione, in quanto al giudice a quo è comunque assegnato un potere di filtro. Cfr. A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 70 ss.
[3]V. l’articolo 24, della legge n. 87, del 11 marzo 1953 in SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 33.
[4]Su questi aspetti v. L. PEGORARO, A. REPOSO, A. RINELLA, R. SCARCIGLIA, M. VOLPI, Diritto Costituzionale e Pubblico, cit., pp. 453 ss; DI CELSO M. MAZZIOTTI, SALERNO G.M., Manuale di Diritto Costituzionale, cit., pp. 509 ss; G.U. RESCIGNO, Corso di Diritto Pubblico, cit., pp. 462 ss; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp.198 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 187 ss; L. MEZZETTI, Manuale Breve Diritto Costituzionale, cit., pp. 402 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 105 ss; M.S. CICCONETTI, Lezioni di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 58 ss; R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, cit., p. 482; P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., p. 394; T. MARTINES, Diritto Costituzionale, cit., pp. 314 ss; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 70 ss.
[5]V. la sentenza n. 161 del 1977, in www.cortecostituzionale.it.
[6]V. le ordinanze n. 491 del 1987 e n. 177 del 2000, in www.cortecostituzionale.it.
[7]Ad esempio, l’articolo 116 del Codice Civile impone allo straniero, il quale voglia contrarre matrimonio in Italia, la presentazione all’ufficiale dello stato civile di una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dal quale risulti che nulla osta al matrimonio secondo le leggi alle quali egli è assoggettato. Capita spesso che lo straniero riceva un nulla osta negativo per ragioni configgenti con i principi del diritto matrimoniale italiano, ad esempio perché molti paesi islamici vietano il matrimonio con un cittadino straniero di religione non islamica. Se ne desume una limitazione incostituzionale del diritto allo straniero di sposarsi. Di recente il Tribunale di Roma ha sollevato questione di costituzionalità di tale disposizione, rilevando il contrasto con il principio costituzionale della libertà matrimoniale. La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione, cioè non l’ha esaminata, osservando che il Tribunale di Roma non aveva tenuto conto dell’altra interpretazione possibile dell’articolo 116 del Codice Civile. Altri giudici ordinari, infatti, leggono 222tale articolo in maniera compatibile con la Costituzione, ammettendo che l’ufficiale dello stato civile possa comunque consentire al matrimonio dello straniero quando il nulla osta sia stato negato per ragioni contrarie ai principi del diritto italiano. Cfr. A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 71 ss
[8]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 538.