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IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA (L’ORDINANZA DI RIMESSIONE): YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.

IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA (L’ORDINANZA DI RIMESSIONE)

di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

A norma dell’articolo 23 della Legge n. 87 del 11 marzo de 1953[1], se il giudice ritiene rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità, è tenuto ad emettere una ordinanza con la quale espone i termini e i motivi della questione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte, e sospende il giudizio in corso.

Con l’ordinanza di rimessione[2] il giudice oltre ad effettuare la verifica dell’esistenza dei requisiti di ingresso della questione alla Corte, sospende il giudizio fino alla decisione della Consulta. Dal momento in cui è stata accertata la rilevanza e la non manifesta infondatezza, la rimessione alla Corte costituzionale è obbligatoria, trattandosi di un potere-dovere di cui il giudice non può disporre.

Tale ordinanza, inoltre è indispensabile anche nell’ipotesi in cui la questione sia già stata rimessa alla Corte costituzionale da altri giudici o dallo stesso giudice in altri procedimenti. In proposito è da rilevare che, tuttavia, non è infrequente che il giudice si limiti a ordinare la sospensione del giudizio in attesa e sino alla decisione della questione pendente dinanzi alla Consulta. Infatti, tale circostanza è una prassi contra legem derivata da esigenze di economia processuale, che finisce in realtà per sacrificare il diritto delle parti di difendersi davanti alla Corte, anche quando la questione sia stata sollevata da una di esse.

Su questo aspetto è bene notare che, nonostante la mancanza dell’ordine di trasmissione, alcune ordinanze di mera sospensione del giudizio a quo sono pervenute alla Corte, che si è però limitata a ordinare il rinvio degli atti ai giudici, rilevando la non idoneità di tali ordinanze a promuovere il giudizio incidentale in quanto prive dei requisiti indicati dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953[3]. Va osservato che se il giudice ha disposto la sospensione del procedimento e la trasmissione alla Consulta, è irrelevante la qualificazione formale dell’atto, ossia si abbia la forma della sentenza o dell’ordinanza[4]. Un uso distorto dell’incidente di costituzionalità si verifica se il giudice utilizza la rimessione alla Corte con la finalità di sostenere l’infondatezza della questione proposta da un altro giudice[5].

Oltre alle indicazioni generalmente proprie di tutti i provvedimenti giurisdizionali, l’ordinanza di rimessione deve indicare i termini e i motivi della questione[6]. Infatti, deve individuare le disposizioni della legge o dell’atto avente forza di legge dello Stato o della Regione che si assumono viziate da illegittimità (l’oggetto del giudizio), le disposizioni costituzionali che si ritengono violate (i parametri) e le eventuali norme interposte; nonché i vizi di incostituzionalità ravvisati. L’indicazione delle disposizioni (legislative e costituzionali) non esaurisce il compito di individuare i termini della questione. È necessario che il rimettente specifichi quale norma ritiene di trarre dall’interpretazione della disposizione di legge.

Per questo motivo il giudice rimettente non può limitarsi a prospettare più possibili opzioni interpretative, senza scegliere ed indicare quella che ritiene di dover applicare nel giudizio a quo. Neppure può pretendere una revisione sul piano ermeneutico dell’esegesi consolidatasi nella giurisprudenza della Cassazione, ma solo richiedere che la Consulta verifichi la conformità di essa ai principi costituzionali.

L’ordinanza di rimessione deve essere motivata in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione. La motivazione sulla rilevanza deve accompagnarsi all’esposizione sommaria dei fatti di causa, così da consentire il controllo esterno della Corte sulla rilevanza. Quanto alla motivazione sulla non manifesta infondatezza, l’indicazione numerica dei parametri costituzionali deve essere integrata, a pena di inammissibilità, dalla specificazione delle ragioni delle violazioni ipotizzate.

Nell’ipotesi in cui il giudice rimettente denunci la violazione del principio di eguaglianza per disparità di trattamento, egli dovrà indicare la norma o il principio dell’ordinamento da assumere come termine di raffronto (c.d. tertium comparationis). È principio ormai consolidato nella giurisprudenza costituzionale che l’ordinanza di rimessione è l’unico atto al quale la Corte deve fare riferimento, sia ai fini della individuazione della questione da decidere, sia per verificare la sussistenza dei requisiti che ne condizionano l’ammissibilità. Una siffatta circostanza implica che non è consentito al giudice di integrare o correggere l’ordinanza mediante atti successivi e aggiuntivi, emessi quando il processo a quo era già stato sospeso[7].

Ed ancora tale circostanza implica che l’ordinanza di rimessione deve essere autosufficiente, autonoma e completa, nel senso che non può limitarsi a fare rinvio ad altri atti senza riprodurne i contenuti, né omettere l’indicazione di circostanze o fatti decisivi pur desumibili dagli atti di causa. L’inosservanza del principio di completezza e autosufficienza dell’ordinanza rende la questione manifestamente inammissibile, ma il giudice può comunque riproporla, emendando con una nuova ordinanza le lacune della precedente.

In proposito la Corte costituzionale ha affermato il c.d. principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione (e della sua motivazione) dalla quale debbono potersi trarre tutti gli elementi necessari per l’esame della questione[8]. Il giudice costituzionale, infatti, non desume tali elementi dagli atti del giudizio, né la motivazione dell’ordinanza può essere redatta per relationem mediante rinvio a tali atti o ad altri provvedimenti dello stesso o di altri giudici[9]. La constatazione della violazione di tale principio di autosufficienza conduce la Corte all’adozione di ordinanze di manifesta inammissibilità per carenza di motivazione su uno dei profili richiesti[10].

L’ordinanza di rimessione delimita l’oggetto e l’ambito della questione, segnando i limiti del thema decidendum[11] che rimane fissato da essa ed è immodificabile sia dalle parti costituite dinanzi alla Corte, sia dalla Corte stessa, sia dal rimettente. Spetta comunque alla Corte il potere di valutare la reale portata della questione (c.d. ricognizione del thema decidendum), e determinarla in misura più ristretta o più ampia rispetto alla prospettazione del giudice rimettente. Con la medesima ordinanza, il giudice a quo può sottoporre all’esame della Corte più questioni, anche relative a norme legislative diverse, purché le proponga cumulativamente o in rapporto di subordinazione logica tra loro.

Non può invece proporre questioni tra loro alternative o prospettare soluzioni diverse per la medesima questione, giacché in tal modo viene richiesta alla Corte una scelta che non le compete[12]. Una volta depositata nella cancelleria del giudice a quo, l’ordinanza di rimessione non può più essere da questi revocata[13].

Con la proposizione della questione scaturiscono una serie di obblighi pubblicitari[14]. Per tali motivi, quando non ne sia stata data lettura in dibattimento, l’ordinanza che trasmette gli atti alla Corte costituzionale deve essere notificata, a pena di manifesta inammissibilità, alle parti in causa[15], per tali intendendosi tutti i soggetti che rivestono qualità di parte processuale nel giudizio a quo, anche se in esso siano rimasti contumaci[16]. Deve inoltre essere notificata anche al Presidente del Consiglio dei Ministri od al Presidente della Giunta regionale, a seconda che sia in questione una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, e al Pubblico ministero, quando la sua partecipazione al giudizio a quo è obbligatoria. Infine, l’ordinanza è, comunicata anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento o al Presidente del Consiglio regionale interessato[17], per l’evidente influenza che la conoscenza delle questioni di legittimità pendenti, può avere ai fini dei lavori degli organi legislativi.

Come si evince si tratta di forme pubblicitarie che rispondono a scopi diversi. Nel primo caso la finalità è di tipo strettamente processuale (la costituzione in giudizio); nel secondo è verosimilmente quella di offrire agli organi politici che hanno adottato gli atti contestati l’opportunità di vagliare la possibilità di un intervento di modifica[18]. Nel terzo, infine, la notizia dell’esistenza di un’ordinanza di rimessione consente agli altri operatori giuridici di essere informati del processo in corso e della eventualità di una imminente declaratoria di incostituzionalità. I giudici chiamati ad applicare la norma di dubbia costituzionalità possono, così, valutare l’opportunità di adottare un’analoga ordinanza sospendendo il relativo giudizio[19].

Proprio per questo motivo, la cancelleria del rimettente deve provvedere alla immediata trasmissione alla Corte costituzionale sia dell’ordinanza, con la prova delle comunicazioni e delle notificazioni, sia degli atti del processo a quo[20]. L’eccessivo ritardo nella trasmissione non costituisce motivo di irricevibilità, non essendo stabilito alcun termine perentorio[21].

NOTE:

[1]V. l’articolo 23, della legge n. 87, del 11 marzo 1953 in SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 32.

[2]Riguardo a questo punto v. DI CELSO M. MAZZIOTTI, SALERNO G.M., Manuale di Diritto Costituzionale, cit., p. 509; G.U. RESCIGNO, Corso di Diritto Pubblico, cit., pp. 462 ss; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp.201 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 191 ss; L. MEZZETTI, Manuale Breve Diritto Costituzionale, cit., pp. 402 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 108 ss; M.S. CICCONETTI, Lezioni di Giustizia Costituzionale, cit., p. 60 ss; R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, cit., p. 482; P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., pp. 393 ss; T. MARTINES, Diritto Costituzionale, cit., pp. 315 ss; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 72 ss.

[3]V. l’ordinanza n. 9 del 1991, n. 264 del 1995, in www.cortecostituzionale.it.

[4]V. la sentenza n. 452 del 1997, l’ordinanza n. 153 del  2002, n. 111 del 2005, in www.cortecostituzionale.it.

[5]V. l’ordinanza n. 425 del 1992, in www.cortecostituzionale.it.

[6]V. l’articolo 23, della Legge n. 87 del 1953, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 32.

[7]V. l’ordinanza n. 11 del  1991, n. 330 del 2000, in www.cortecostituzionale.it.

[8]V. l’ordinanza n. 279 del 2000, in www.cortecostituzionale.it.

[9]V. le sentenze n. 79 del 1996 e 76 del 1998, in www.cortecostituzionale.it.

[10]V. l’ordinanza n. 300 del 1999, in www.cortecostituzionale.it.

[11]Sul thema decidendum, Cfr. DI CELSO M. MAZZIOTTI, SALERNO G.M., Manuale di Diritto Costituzionale, cit., p. 510; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 206 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 199 ss; L. MEZZETTI, Manuale Breve Diritto Costituzionale, cit., pp. 402 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 138 ss.

[12]V. la sentenza n. 188 del 1995 e l’ordinanza n. 107 del 2001, in www.cortecostituzionale.it.

[13]Cfr. E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 110 ss.

[14]Cfr. F. S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 538.

[15]V. l’articolo 5, primo comma, lett. f, della Legge n. 400 del 2d3 agosto del 1988, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 89 ss.

[16]V. l’ordinanza n. 104 del 1999, n. 395 del  1997,  n. 202 del 1983, in www.cortecostituzionale.it.

[17]V. l’articolo 23, quarto comma, della legge n. 87, del 11 marzo 1953 in SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 32 ss.

[18]V. l’articolo 23, quarto comma, della legge n. 87, del 11 marzo 1953 in SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 32 ss.

[19]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 539.

[20]V. l’articolo 23, della legge n. 87, del 11 marzo 1953 in SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 32.

[21]V. la sentenza n. 42 del 1957, in www.cortecostituzionale.it.

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