Copyright 2017 Studio Futuroma

Back
YULHMA VIRGINIA BALDERAS ORTIZ > COMPARATIVE LAW  > IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ DEL REFERENDUM, DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA: YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.

IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ DEL REFERENDUM, DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA: YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.

IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ DEL REFERENDUMDAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA

di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

L’istituto del referendum ha origine nel XVIII secolo, quando alcune colonie britanniche del Nord America introdussero questo istituto di democrazia diretta nelle loro Costituzioni. Contemporaneamente, in Francia la Costituzione giacobina del 1793 formalizzava la partecipazione popolare diretta a decisioni di governo, sulla scia dei noti insegnamenti di Rosseau, il quale aveva sostenuto la valenza della democrazia diretta come esercizio perfetto della sovranità popolare[1].

In Italia un simile istituto, ovvero il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo[2], è stato introdotto attraverso l’articolo 2[3] della Legge costituzionale 1/1953[4], che ha integrato le funzioni della Corte costituzionale indicate nell’articolo 134, della Costituzione[5]. Va osservato a tale riguardo che la Commissione dei Settantacinque, incentrò il dibattito sulla natura accessoria od eccezionale della consultazione popolare rispetto alla funzione legislativa, sulla sua tipologia e titolarità, sui suoi limiti, trascurando però le modalità di controllo sulle cause di esclusione.

Nonostante l’istituto del referendum abrogativo sia stato accolto nell’ordinamento italiano sin dal 1953, peraltro tale competenza è stata per lungo tempo relegata in un ruolo del tutto marginale fra le attribuzioni della Corte costituzionale.

Infatti il giudizio sulla ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo è andato via via crescendo per importanza e complessità sotto la spinta di una, talora tumultuosa prassi referendaria che, soprattutto a partire dalla fine degli anni 70[6] dello scorso secolo, si è caratterizzata per un sempre più massiccio e articolato ricorso allo strumento del referendum abrogativo[7].

In particolare, l’articolo 75 della Carta costituzionale, dispone che l’indizione di referendum abrogativo totale o parziale di legge, od atto avente valore di legge, può essere richiesto da cinquecentomila elettori o da cinque Consigli regionali. Inoltre lo stesso articolo riconosce il diritto di partecipazione al voto a tutti coloro che godano dell’elettorato attivo per la Camera dei deputati, e prescrive ai fini della validità dello stesso, la necessità che partecipi alla votazione la maggioranza degli aventi diritto. Ed ancora l’articolo 75, vieta l’abrogazione popolare di leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto e quelle di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali[8].

Per quanto riguarda le modalità di attuazione del referendum la Costituzione rinvia alla legge. A tale specifico rinvio il legislatore ha risposto al richiamo in due fasi. La prima è consistita nell’attribuzione del giudizio di ammissibilità del referendum alla Consulta, operata dal menzionato articolo 2, della Legge costituzionale 1/1953, che a propria volta rinvia ad ulteriore legiferazione; la seconda si è realizzata con l’adozione della Legge 352/1970. Tale legge ha consentito la concreta attivazione del referendum, definendone le modalità di richiesta di controllo e di svolgimento[9].

D’altra parte, per quanto attiene al procedimento referendario questo prevede due fasi di controllo[10]. La prima si svolge davanti all’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di Cassazione, in cui si realizza uno scrutinio di legittimità generale e residuale. La seconda fase, ovvero la cognizione dell’ammissibilità, si attua dinanzi alla Corte costituzionale[11].

Prima di descrivere le due fasi di controllo dinnanzi alla Corte di Cassazione e alla Corte costituzionale, è importante ricordare anche le fasi che precedono il procedimento referendario, ovvero il giudizio di ammissibilità.

La fase introduttiva del procedimento referendario attiene alla preparazione della richiesta ed alla sua presentazione.

L’iniziativa popolare deve partire da almeno dieci promotori, i quali si procurano la vidimazione dei fogli per le firme[12]. I promotori del referendum al fine di raccogliere le 500.000 firme degli elettori, devono presentarsi, muniti di certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali di un comune della Repubblica, alla cancelleria della Corte di cassazione, che ne dà atto con verbale, copia del quale viene poi rilasciata agli stessi promotori[13].

Per quanto riguarda la raccolta delle firme, si devono usare fogli di dimensioni uguali a quelli della carta bollata ciascuno dei quali deve contenere all’inizio di ogni facciata, a stampa o con stampigliatura, la dichiarazione della richiesta di referendum.

In seguito alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’annuncio del referendum[14], tali fogli devono essere presentati a cura dei promotori, o di qualsiasi elettore, alle segreterie comunali o alle cancellerie degli uffici giudiziari. Successivamente il funzionario preposto da tali uffici, appone ai fogli il bollo dell’ufficio, la data e la propria firma e li restituisce ai presentatori entro due giorni dalla presentazione.

Inoltre, è da ricordare che nei fogli vidimati dal funzionario, si devono indicare i termini del quesito che si intende sottoporre alla votazione popolare, e la legge o l’atto avente forza di legge, dei quali si propone l’abrogazione, completando la formula “volete che sia abrogata…” la data, il numero e il titolo della legge o dell’atto avente valore di legge sul quale il referendum sia richiesto[15].

Nell’ipotesi in cui si richieda referendum per abrogazione parziale, alla formula sopra citata si dovrà anche inserire l’indicazione del numero dell’articolo, o degli articoli sui quali il referendum è richiesto. Qualora si richieda referendum per la abrogazione di parte di uno o più articoli di legge, oltre all’indicazione della legge e dell’articolo, si dovrà inserire l’indicazione del comma, e dovrà essere altresì integralmente trascritto il testo letterale delle disposizioni di legge, delle quali sia proposta l’abrogazione.

Il deposito presso la cancelleria della Corte di Cassazione di tutti i fogli contenenti le firme e dei certificati elettorali dei sottoscrittori, avviene entro tre mesi dalla data del timbro apposto sui fogli medesimi. Il citato deposito dovrà essere effettuato da almeno tre dei promotori, i quali dichiarano al cancelliere il numero delle firme che appoggiano la richiesta[16].

Nell’ipotesi in cui la richiesta riguardi il referendum previsto dall’articolo 75 della Costituzione, da parte di non meno di cinque Consigli regionali, tale richiesta deve contenere, oltre al quesito e all’indicazione delle disposizioni di legge delle quali si propone la abrogazione, l’indicazione dei Consigli regionali che abbiano deliberato di presentarla, la data della rispettiva deliberazione, che non deve essere anteriore oltre quattro mesi alla presentazione, e dei delegati di ciascun Consiglio, uno effettivo e uno supplente. Ed ancora tale richiesta deve essere sottoscritta dai delegati, e deve essere corredata da copia di dette deliberazioni, sottoscritta dal Presidente di ciascun Consiglio[17].

Al riguardo è importante ricordare che la deliberazione relativa alla richiesta di referendum, dovrà essere approvata dal Consiglio regionale con il voto della maggioranza dei Consiglieri assegnati alla Regione, e deve contenere l’indicazione della legge o della norma della quale si proponga l’abrogazione. Nell’ipotesi in cui tale deliberazione sia approvata da altri Consigli Regionali con modificazione del quesito, questi procedono come iniziatori di nuova proposta[18].

Il deposito delle richieste di referendum abrogativo, deve effettuarsi ogni anno fra l’inizio di gennaio e la fine di settembre[19], poiché dalla fine di ottobre l’intervallo è utile al controllo di legittimità dell’Ufficio[20] centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione. Nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla convocazione dei comizi elettorali, il deposito di richiesta è precluso dall’articolo 31 della Legge n. 352/1970 del 25 maggio 1970[21].

NOTE: 

[1]Cfr. E. FERIOLI, La Giustizia costituzionale, Cedam, 2007, p. 574.

[2]Tale attribuzione, è costituita di un giudizio che si colloca all’interno di un procedimento (quello referendario) costituendo una fase dell’articolato iter procedurale disegnato dalla legge n. 352/1970 di attuazione dell’articolo 75 della Costituzione. Tale caratteristica endo procedimentale marca un evidente profilo di differenzazione rispetto a tutte le altre competenze della Corte costituzionale. Cfr. A. CELOTTO, Lineamenti di diritto pubblico, Giappichelli, 2008, p. 714.

[3]Cfr. S. M. CICCONETTI, Lezioni di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 110 ss; P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., p. 408; T. MARTINES, Diritto Costituzionale, cit., pp. 215 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 263 ss; L. MEZZETTI, Manuale Breve Diritto Costituzionale, cit., pp. 419 ss; DI CELSO M. MAZZIOTTI, SALERNO G.M., Manuale di Diritto Costituzionale, cit., pp. 542 ss; G. U. RESCIGNO, Corso di Diritto Pubblico, cit., pp. 477 ss; L. PEGORARO, A. REPOSO, A. RINELLA, R. SCARCIGLIA, M. VOLPI, Diritto Costituzionale e Pubblico, cit., pp. 478 ss; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 114 ss; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 467 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 277 ss; F. MODUGNO, Diritto pubblico generale, cit., pp. 166 ss.

[4]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 19.

[5]Secondo E. FERIOLI: “ (…) nell’Assemblea costituente il tema fu relazionato da Mortati, che propose all’esame dei colleghi un referendum sospensivo di legge parlamentare su iniziativa governativa e del Capo di Stato, un referendum “arbitrale” su disegno di legge governativo respinto dalle Camere, un referendum di iniziativa popolare per l’abrogazione di leggi già in vigore e, infine, un referendum popolare propositivo. Dopo ampi dibatti, poco sopravisse delle suggestioni mortatiane. Durante i lavori della Commissione dei Settantacinque, la paura che il Parlamento fosse espropriato dalle funzioni legislative indusse al rigetto dei referendum propositivi; l’idea del referendum sospensivo venne aspramente contestata alla luce del pericolo di attribuire al popolo un potere di veto generalizzato (cfr. gli interventi di Grassi, seduta del 28 gennaio 1947). In Assemblea plenaria, come noto, ottenne approvazione il solo referendum abrogativo; le ragioni della “potatura” sono sommariamente ascrivibili alle preoccupazioni di intralciare l’efficienza parlamentare e di delegittimare le funzioni, nonché di compromettere la centralità dei partiti di massa. D’altra parte, la potenziale contrapposizione fra eletti ed elettori era l’auspicio di Mortati, secondo il quale, a fronte di una sfasatura fra partiti e opinione pubblica – o sono i primi che interpretano male la volontà popolare e i bisogni reali del popolo, e allora è giusto che la loro attività sia arrestata dal popolo; o è il popolo che è scarsamente educato, e allora è ai partiti che si deve imputare tale situazione e il rimedio non può essere quello di escludere il popolo, bensì di eccitare il suo spirito politico, la sua sensibilità ai problemi politici, la sua capacità di intendere gli interessi generali – (seduta del 18 settembre 1947). Nonostante le vibranti difese di Perassi e Ruini (seduta del 16 ottobre 1947), le resistenze degli esponenti di cultura liberale e delle sinistre provocarono la delimitazione della consultazione popolare diretta alle sole fattispecie di cui agli articoli 75, 132 e 138 della Costituzione”. (qui riportato quasi testualmente). V. La Giustizia costituzionale, cit., p. 574.

[6]Al riguardo, A. CELOTTO: “ (…) alla fine degli anni’70 si è registrato un brusco mutamento di rotta della giurisprudenza costituzionale. Posta, infatti, dinanzi ad una contestuale proposizione di ben otto distinte richieste di referendum e, più ancora, al fatto che una simile iniziativa si presentasse come il manifesto della strategia di una formazione politica – quella radicale – volta a perseguire l’obiettivo di una riforma della legislazione in senso conforme a Costituzione, da realizzarsi al di fuori del Parlamento, la Corte costituzionale – forse anche con qualche preoccupazione per la tenuta del sistema democratico, proprio in quei mesi messa a dura prova dagli attacchi terroristici – con la storica sentenza 16/1978 abbandona la linea di self-restraint sino ad allora tenuta e disegna un nuovo e più ampio quadro dei limiti posti all’ammissibilità delle richieste referendarie. A ciò perviene facendo uso di un procedimento interpretativo di tipo sistematico, volto ad identificare l’esistenza di valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum, al di la della lettera dell’articolo 75, 2 comma (sentenza n. 16/1978). Tale procedimento ermeneutico interessa, in prima battuta, lo stesso 2, comma dell’articolo 75, la cui interpretazione, letterale, dice la Corte, deve essere integrata – ove occorra – da un’interpretazione logico-sistematica, per cui vanno sottratte al referendum le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all’ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall’articolo 75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa. In tal modo, si vuole impedire che, stante lo stretto nesso funzionale sussistente tra alcune delle leggi inserite nell’elenco di cui al 2 comma dell’articolo 75 ad altre leggi ordinarie non espressamente lì contemplate, attraverso l’abrogazione di quest’ultime si possa ottenere il risultato di paralizzare l’efficacia delle prime (quelle, cioè, esplicitamente riportate nel disposto costituzionale), così ottenendo un esito assai prossimo a quello – costituzionalmente vietato – della loro cessazione di efficacia per l’abrogazione. Ad esempio, la legge di esecuzione di un trattato internazionale nella sua relazione con la corrispondente legge di autorizzazione alla ratifica; oppure la legge finanziaria rispetto alla legge di approvazione del bilancio. Inoltre, facendo, poi, riferimento al 1 comma dell’articolo 75 – secondo cui il referendum popolare può essere indetto per “deliberare l’abrogazione di una legge o di un atto avente valore di legge”. La Corte afferma il principio del c.d. parallelismo fra referendum e legge ordinaria, in forza del quale si attribuisce al primo l’ambito di efficacia formale della seconda, nel senso di trasformare i limiti al disponibile con legge, in quanto atto primario, in limiti all’ammissibilità delle richieste di referendarie. In base a ciò la sentenza n. 16 individua ulteriori tipi di atti legislativi sottratti all’abrogazione popolare, come: a) “la Costituzione, le leggi di revisione costituzionale, el altre leggi costituzionali considerate dall’articolo 138 costituzionale”; b) “gli atti legislativi dotati di una forza passiva peculiare (e dunque insuscettibile di essere validamente abrogati da leggi ordinarie successive)”: cioè, in sostanza, le leggi rinforzate e verosimilmente anche quelle atipiche; c) le “disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato”, vale a dire quei disposti legislativi che attuano la Costituzione (o le leggi costituzionali) nell’unico modo possibile, il cui venir meno avrebbe come conseguenza l’inoperatività della medesima Costituzione. Ed ancora, la sentenza del 1978 individua un limite di carattere logico, perché intrinseco alla natura stessa dell’istituto referendario, asserendo l’inammissibilità di richieste abrogative il cui quesito sia formulato in modo da contenere “una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, da non poter venire ricondotto alla logica dell’articolo 75”. In pratica viene così introdotto il quesito della omogeneità del quesito referendario. Il problema principale di questa operazione di riscrittura del quadro dei limiti di ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo compiuta nel 1978 s’è presto rivelato essere la sua difficoltà di tenuta. Tutta la giurisprudenza costituzionale successiva, sino alle ultimissime decisioni del 2005, ha dato luogo nel suo complesso ad un processo incrementale di crescita dell’area dell’inammissibilità, definito come una vera e propria deriva. Sul fronte, ad esempio, dei limiti riguardanti la corretta formulazione del quesito abrogativo, dall’originario requisito della omogeneità, si è passati a quello della coerenza-completezza-esaustività (sentenza n. 27/1981), secondo cui l’ammissibilità viene condizionata al fatto che il quesito deve contenere tutte le norme riconducibili alla “matrice razionalmente unitaria”, per arrivare a quello della necessaria univocità, legata alla valutazione dell’impatto del referendum sulla c.d. normativa di risulta (cioè, sulla disciplina residua a seguito dell’avvenuta abrogazione: sentenza n. 27/1982) e della congruenza fra scopo referendario e formulazione della domanda abrogativa (sentenza n. 1/1995). Si aggiunga, infine, il requisito della c.d. non manipolatività della domanda abrogativa. Si pensi pure al fatto che dalla sottrazione al referendum delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato si è via via giunti a configurare come insuscettibili di abrogazione le leggi costituzionalmente necessarie e, in buona misura, tutte le leggi strumentali all’attuazione e implementazione della Costituzione. Non solo, per quanto riguarda, in specie, la materia elettorale la Corte ha affermato che “gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale non possono essere esposti all’eventualità, anche solo teorica, di paralisi di funzionamento” (sentenza n. 29/1987). E di conseguenza ha dichiarato ammissibili referendum concernenti leggi elettorali, solo a patto che non producessero vuoti incolmabili, tali cioè da non garantire, pur nell’eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell’organo (sentenza n. 5/1995). Il che evidentemente è possibile soltanto qualora si sia in presenza di richieste di abrogazione parziale in grado di produrre, attraverso quesiti improntati ad una tecnica di ritaglio, una normativa di risulta immediatamente applicabile. Ma ciò significa, a ben vedere, imporre (più che consentire) proprio quel carattere “manipolativo” del quesito referendario che la Corte intende censurare, per evitare che si rovesci di senso quella unidirezionalità che caratterizza il referendum. Il referendum elettorale mostra così una valenza sostanzialmente propositiva. E questa attitudine propositivo-manipolativa, nella più in recente giurisprudenza costituzionale (sentenze nn. 17, 18, 19719979, viene più in generale richiesta per tutti i referendum che incidano su leggi “costituzionalmente necessarie”. In ordine, infine, al limite riguardante le leggi strettamente collegate a quelle indicate nel 2 comma dell’articolo 75 della Costituzione, dalla esclusione relativa alle leggi di esecuzione dei trattati internazionali la Corte è progressivamente arrivata a ritenere sottratte al referendum tutte le leggi comunque collegate all’ambito di operatività dei trattati stessi, come pure attuative del diritto comunitario, nella misura in cui dalla loro abrogazione possa discendere un pregiudizio nell’adempimento degli obblighi internazionali (sentenze nn. 31/1981), 63 e 64/1990). Questo, persino laddove si tratti dei leggi di pre-conformazione al diritto comunitario, proposte all’abrogazione prima che sia scaduto il termine per il recepimento di direttive comunitarie (sentenze nn. 41 e 45/2000). Tutto questo, oltre a testimoniare lo stato di difficoltà in cui versa la giurisprudenza in tema di ammissibilità referendaria, evidenzia anche un altro aspetto importante. Che, cioè, la distinzione fra giudizio di ammissibilità sulla richiesta di referendum e giudizio di legittimità costituzionale sull’abrogazione popolare, che la Corte ha sempre dichiarato di voler mantenere ferma, sembra oggi davvero poco papabile. Se poi a quanto osservato si aggiunge la scarsa coerenza nell’applicazione dei criteri elaborati, l’incertezza del loro fondamento e della loro portata, ben si spiega l’affermazione per cui la caratteristica tipica del giudizio di ammissibilità starerebbe nella sostanziale imprevedibilità del suo esito. Non è un caso, quindi, che ormai da tempo si sia evocata la necessità di un intervento di revisione normativa da parte del legislatore o, quantomeno, l’esigenza di una nuova decisione quadro della Corte costituzionale chiamata a fare un po’ d’ordine in materia”. (qui riportato quasi testualmente). V. Lineamenti di diritto pubblico, cit., pp. 717 ss.

[7]Secondo, E. CHELI: “(…) a partire degli anni ’90, sulla materia del referendum, si è assistito ad un’espansione massiccia dello strumento referendario: dal ‘93 al ’97 si sono concentrate all’esame della Corte 65 domande referendarie, che sono quasi i due terzi delle domande complessive poste da quando è nato l’istituto referendario. Questa espansione quantitativa dello strumento referendario ha fatto anche registrare mutamenti qualitativi di questo strumento. Si pensi ai referendum manipolativi che si affermano dopo il 1991, cioè dopo i referendum elettorali. Si pensi ai c.d. referendum multipli o a “grappolo”, che hanno caratterizzato le ultime domande referendarie. Questo fenomeno ha indotto sempre più la Corte a uscire nelle sue pronunce di ammissibilità dai confini dell’articolo 75 e anche dai confini aggiuntivi che essa si era data nel 1978 con la sentenza n. 16. E ciò perché questi confini non servivano più a dare risposte alla novità del fenomeno sia in termini di quantità che in termini di qualità. Uscendo da questi confini, la Corte ha sempre più imboccato la linea di un libero bilanciamento tra l’interesse dei promotori del referendum e l’interesse del corpo elettorale ad esprimere una scelta libera e consapevole. Alla fine la Corte si è trovata a non avere più alle spalle una norma costituzionale da applicare ma solo un bilanciamento tra due interessi. In tutte le pronunce, specialmente nelle ultime, si ricorre continuamente al bilanciamento tra questi opposti interessi. Anche questa vicenda segnala dunque, un’accentuazione della funzione arbitrale della Corte. Basti pensare, in particolare, proprio alla vicenda dei referendum elettorali che inizia con al sentenza n. 47/1991 e conduce poi alla svolta della scelta del sistema maggioritario nel 1993”. (qui riportato quasi testualmente). V. Il giudice delle leggi, cit., p. 62.

[8]Cfr. S. M. CICCONETTI, Lezioni di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 109 ss; P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., p. 408; T. MARTINES, Diritto Costituzionale, cit., pp. 215 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 252 ss; L. MEZZETTI, Manuale Breve Diritto Costituzionale, cit., pp. 419 ss; DI CELSO M. MAZZIOTTI, SALERNO G.M., Manuale di Diritto Costituzionale, cit., p. 540; G. U. RESCIGNO, Corso di Diritto Pubblico, cit., p. 476; L. PEGORARO, A. REPOSO, A. RINELLA, R. SCARCIGLIA, M. VOLPI, Diritto Costituzionale e Pubblico, cit., p. 477; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., p. 113; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 443 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., p. 271; F. MODUGNO, Diritto pubblico generale, cit., pp. 166 ss.

[9]Secondo E. FERIOLI: “ (…) il vistoso intervallo intercorrente fra le due citate leggi trova giustificazione nella “convenzione antireferendaria” maturata nel contesto politico del “congelamento costituzionale”, voluto dalla democrazia cristiana dopo l’entrata in vigore della carta repubblicana per evitare la condivisione dell’indirizzo politico con le sinistre. A ben vedere, secondo gli osservatori più vigili la legge sul referendum fu approvata ben oltre il “disgelo costituzionale”, perché non si volle rischiare l’interruzione del dialogo rinato da qualche anno fra maggioranza governativa ed opposizione comunista”. (qui riportato quasi testualmente).V. La Giustizia costituzionale, cit., pp. 575 ss.

[10]Per alcuni autori, fra cui E. FERIOLI: “ (…) la diversificazione dei controlli fra l’Ufficio centrale per il referendum e la Corte costituzionale doveva almeno in origine, corrispondere alla distinzione fra “legittimità” ed “ammissibilità” della richiesta; distinzione che, appropria volta, dovrebbe segnare il confine fra l’accertamento degli adempimenti prescritti dal legislatore ordinario e quello degli adempimenti pretesi dal legislatore costituzionale. Eppure non sono mancati fenomeni di sovrapposizione, prevalentemente dovuti al fatto che l’Ufficio centrale per il referendum è investito di verifiche le quali, talvolta, sfiorano anche prescrizioni costituzionali, risolti dalla Corte precisando che l’Ufficio centrale per il referendum – esamina tutte le richieste referendarie allo scopo di accertare che esse siano conformi alle norme di legge, cioè alle norme poste con legge ordinaria che governano la procedura conseguente alla iniziativa del referendum abrogativo- (sentenza 30/1980) e che – entro la sfera spettante all’Ufficio non si può pretendere che la Corte operi come un giudice di secondo grado -, respingendo quindi la possibilità di appellarsi alla Corte contro pronunce adottate nella fase preventiva (sentenza n. 35/1985). In sintesi, il ruolo dell’Ufficio centrale per il referendum è funzionale a controllare che l’iniziativa sia conforme a legge, che provenga dai soggetti legittimati, che il deposito delle sottoscrizioni sia stato tempestivo, che la richiesta sia trascritta correttamente sui fogli delle firme, che le sottoscrizioni siano consone al numero ed alla titolarità prescritte, che l’oggetto del referendum corrisponda a legge od atto avente forza di legge. L’Ufficio centrale per il referendum è composto dai tre Presidenti e dai tre Consiglieri di Sezione della Corte di Cassazione più anziani; è presieduto dal Presidente di Sezione più anziano ed ogni anno prende in considerazione le richieste di referendum prevenute nei termini, rilevandone eventuali irregolarità con l’invito ai promotori o ai Consigli regionali alla correzioni ed alla presentazione di memorie contestative delle suddette irregolarità. Altresì aspettano all’Ufficio centrale per il referendum, rilevanti compiti di unificazione di richieste analoghe, di riduzione, correzione o caducazione di richieste vertenti su disposizione nel frattempo abrogate e/o modificate, di titolazione della richiesta di referendum da riprodurre nella parte interna delle schede, sulla quale si tratta. È appena il caso di sottolinearlo, di strumenti che mettono l’organo nella posizione di interagire con i promotori nella costruzione del quesito che arriverà alla Corte; strumenti che il legislatore ha voluto per agevolare l’identificazione dell’oggetto nelle ipotesi di richieste afferenti a plurime disposizioni o particolarmente articolate, senza probabilmente avvedersi della loro astratta idoneità a condizionare i processi volitivi della Corte costituzionale, in sede di giudizio, e degli elettori, al momento del voto Su alcune di tali questioni la stessa Corte ha avuto occasione di formulare interpretazioni sui poteri dell’Ufficio centrale per il referendum. Nella sentenza 68/1978, essa ha dichiarato – l’illegittimità costituzionale dell’articolo 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, limitatamente alla parte in cui non prevede che se l’abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative – ; inoltre essa distingue fra quesito abrogativo dell’intero testo normativo e quesito incidente su disposizioni legislative specifiche, affermando che, se nel primo caso l’indagine andrà estesa – ai raffronti fra i principi cui si informano nel loro complesso l’una o l’altra disciplina – , nel secondo, invece, – decisivo è il confronto fra i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, senza che occorra avere riguardo ai principi dell’intero ordinamento in cui questi si ritrovino inseriti –. La successiva giurisprudenza dell’Ufficio centrale per il referendum sulla c.d. “abrogazione sufficiente”, però, ha rivelato l’insufficienza di questi criteri e ne testimonia la frequente integrazione con il ricorso alla intentio dei sottoscrittori dell’iniziativa referendaria al fine di determinare il contenuto normativo essenziale ed i principi ispiratori dei precetti coinvolti nel quesito (la declinazione in chiave soggettiva della finalità abrogativa trae recente conferma dalle sentenze 41, 42, 43 e 44/2003, pur riscuotendo apprezzamento scientifico minoritario). Ancora nella sentenza n. 3772000, la Corte ha contestato all’ufficio centrale l’adeguatezza della titolazione del referendum sull’ordinamento giudiziario, considerandola – non del tutto adeguata, e in sostanza eccedente rispetto alla oggettiva portata delle abrogazioni proposte – , per poi bilanciare la critica affermando che ai fini dell’ammissibilità rileva la – portata oggettiva del quesito, e non già la corrispondenza ad essa del titolo attributivo – (eppure v. sentenza 40 e 43/2000)”. (qui riportato quasi testualmente). V. La Giustizia costituzionale, cit., p. 579.

[11]Cfr. G. GUZZETTA, F. S. MARINI, Diritto pubblico italiano ed europeo, cit., p. 567.

[12]V. l’articolo 27 della Legge n. 352 del 25 maggio 1970, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 167 ss.

[13]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 167.

[14]Di ciascuna iniziativa è dato annuncio nella Gazzetta Ufficiale del giorno successivo a cura dell’Ufficio stesso.

[15]V. l’articolo 27 della Legge costituzionale n. 352 del 25 maggio 1970, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 167 ss.

[16]V. l’articolo 28 della Legge costituzionale n. 352 del 25 maggio 1970, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 168.

[17]V. l’articolo 29 della Legge costituzionale n. 352 del 25 maggio 1970, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 169.

[18]V. l’articolo 30 della Legge costituzionale n. 352 del 25 maggio 1970, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 169.

[19]Le richieste di referendum devono essere depositate in ciascun anno dal 1° gennaio al 30 settembre. Alla scadenza del 30 settembre l’Ufficio centrale costituito presso la Corte di cassazione a norma dell’articolo 12 esamina tutte le richieste depositate, allo scopo di accertare che esse siano conformi alle norme di legge. V. l’articolo 32 della Legge costituzionale n. 352 del 25 maggio 1970, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 170.

[20]Presso la Corte di cassazione è costituito un Ufficio centrale per il referendum, composto dai tre presidenti di sezione della Corte di cassazione più anziani nonché dai tre consiglieri più anziani di ciascuna sezione. Il più anziano dei tre presidenti presiede l’ufficio e gli altri due esercitano le funzioni di vice presidente. Cfr. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 170.

[21]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 170.

No Comments

Leave a reply