I LIMITI DELLE SENTENZE ADDITIVE E SOSTITUTIVE, DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA: YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.
I LIMITI DELLE SENTENZE ADDITIVE E SOSTITUTIVE, DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA
di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Ai sensi dell’articolo 28[1] della legge n. 87 del 1953: “Il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento”. In virtù dell’articolo sopra citato, dunque, la Corte ha unicamente la funzione di verificare che esista un vizio di costituzionalità della legge, ma non può a tale scopo sostituirsi agli organi costituzionali, a cui la Costituzione riserva la funzione normativa. Ciò in particolar modo nelle sentenze manipolative[2], ovvero allorché interviene su parti della disposizione, e a maggior ragione nelle sentenze additive e sostitutive, essa non ha la facoltà di scegliere in base a valutazioni politiche la norma che ritiene più opportuna, tra le possibili norme alternative a quella dichiarata incostituzionale[3].
Un’autorevole dottrina ha evidenziato che tuttavia questo non significa che la Corte “non eserciti una funzione normativa e che le sentenze di accoglimento non abbiano carattere costitutivo e non siano da considerare come fonti dell’ordinamento giuridico complessivo[4]”. Il divieto di svolgere un’attività politica contenuto nella legge, va inteso, infatti nel senso che lo stesso inibisce alla Corte la menomazione del potere legislativo. Più precisamente la Corte può utilizzare le sentenze additive o sostitutive, solo se non vi è alternativa normativa costituzionalmente possibile[5].
Ed ancora si è sostenuto che sebbene negli anni la Corte, ha fatto un uso massiccio delle sentenze manipolitative tanto da far sembrare la Corte costituzionale “una sorta di super potere, sovraordinato a tutti gli altri” non si può dimenticare che “la Corte non persegue mai un proprio indirizzo politico, ma è chiamata a pronunciarsi su singole e puntuali questioni di legittimità costituzionale, sebbene proprio la risoluzione di queste richiede di inserire le sue valutazioni in modo sistematico nel più ampio contesto dell’ordinamento, sempre alla luce dei valori costituzionali da garantire[6]”.
In ogni modo la Corte a partire dagli anni 70’, ha usato sempre più spesso queste decisioni[7], ma ha anche adottato una serie di cautele che, negli anni si sono notevolmente rafforzate.
Una prima cautela adottata dalla Corte, è stata quella di evitare l’adozione di pronunce additive nelle materia penale, riservata in via assoluta alla legge. Si è, infatti, affermato che le sentenze additive non possono, in virtù del principio di legalità e di irretroattività delle pene e dei reati, immettere nuove fattispecie incriminatici o estendere, altrimenti, le disposizioni penali meno favorevoli al reo[8].
La seconda, intervenuta più di recente, è stata quella di evitare sentenze additive che potessero comportare immediatamente e direttamente un onere a carico della finanza pubblica, senza una preventiva copertura disposta dall’articolo 81 della Costituzione. Al riguardo, infatti si è consolidato un orientamento in base al quale si sono sostituite le c.d additive di spesa di tipo autoapplicativo (vale a dire immediatamente vincolanti per il bilancio statale), con sentenze che si limitano a dichiarare l’incostituzionalità della norma nella parte in cui la stessa non contiene “un meccanismo di adeguamento” destinato a quantificare la nuova spesa, resa per lo più necessaria dall’applicazione del principio di uguaglianza[9]. In tal modo viene così affermata l’incostituzionalità della norma, ma si rimanda agli organi di governo della spesa pubblica, la ricerca degli strumenti destinati a superarla[10].
NOTE:
[1]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 35.
[2]V. T. GROPPI, Hacia una justicia constitucional “dúctil”?,Tendencias recientes de las relaciones entre Corte constitucional y jueces comunes en la experiencia italiana, in Derecho Procesal Constitucional. Colegio de Secretarios de la S.C.J.N., A.C., Tomo I, Messico: Miguel Ángel Porrúa, 2001, pp. 350 ss.
[3]Cfr. F. S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 531.
[4]Ibidem.
[5]V. la sentenza n. 39 del 1986; E. Malfatti, S.Panizza, R.Romboli, al riguardo: (…) “Alla accusa di “sconfinamento” si è replicato, attraverso una tesi forse più utile e opportuna che pienamente convincente, secondo cui la Corte non svolgerebbe in questi casi alcuna attività propriamente creativa ma, attraverso l’interpretazione, si limiterebbe a far emergere norme che sono già presenti nell’ordinamento e che le decisioni di tipo manipolativo verrebbero a rendere palesi, in quanto unica soluzione costituzionalmente possibile, quindi costituzionalmente obbligata: una soluzione pertanto “a rime obbligate” secondo la celebre definizione di Crisafulli”. (…). (qui riportato quasi testualmente). V. Giustizia costituzionale, cit., p. 304.
[6]Cfr. C. Panzera, Sentenze “normative” della Corte costituzionale e forma di governo, in La ridefinizione della forma di governo attraverso la giurisprudenza costituzionale, a cura di A. Ruggeri, Napoli, 2006, p.553; T. Martines, Diritto costituzionale, cit., p. 519, al riguardo: (…)”La Corte ha, nel nostro attuale sistema politico, occupato (sia perché lo ha conquistato sia perché le è stato di buon grado rilasciato dal Parlamento e dal Governo) uno spazio che la caratterizza ormai come soggetto politico. L’incidenza delle sue inappellabili decisioni, la rilevanza che assumono le motivazioni delle sue sentenze(e gli obiter dicta in esso contenuti), la diffusa (ma, in certo senso, inevitabile) tendenza a sostituirsi al legislatore inadempiente, hanno fatto assumere alla Corte un ruolo che, almeno secondo l’originario disegno costituzionale, essa non era chiamata a svolgere, per cui alla Corte sono oggi affidati poteri sostanziali di indirizzo politico, pur nel quadro complessivo delle sue funzioni, dirette ad assicurare il pieno rispetto della costituzione”. (…). (qui riportato quasi testualmente).
[7]E. Cheli, sull’argomento: “un uso che, per le sue dimensioni, non trova nessun riscontro in un altro sistema di giustizia costituzionale”. V. Il giudice delle leggi, cit., p. 74.
[8]V. le sentenze nn. 42 del 1997, 108 del 1981 e, l’ordinanza n. 187 del 2005.
[9] V. la sentenza n. 497 del 1988.
[10]Cfr. E.Cheli, V. Il giudice delle leggi, cit., p. 75.