I LIMITI GIURISPRUDENZIALI AL REFERENDUM, IN ITALIA: YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.
I LIMITI GIURISPRUDENZIALI AL REFERENDUM, IN ITALIA
di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Un aspetto importante da ricordare prima di analizzare la fase davanti alla Corte costituzionale è quello relativo ai limiti giurisprudenziali al referendum[1].
Di fatto, a norma dell’articolo 2 della Legge costituzionale n. 1/1953, il giudizio di ammissibilità della Consulta avrebbe dovuto essere limitato alla verifica del rispetto dei limiti di cui all’articolo 75, comma 2, della Costituzione, ovvero al divieto di referendum su norme tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Nonostante cio, la giurisprudenza, è andata oltre tali limiti creando ulteriori parametri sostanziali di ammissibilità delle richieste referendarie, vale a dire i c.d. limiti impliciti[2].
In base a queste giurisprudenze sono escluse del referendum le norme a contenuto costituzionalmente vincolato (o comunitariamente vincolato), ovvero quelle leggi che danno attuazione alle norme costituzionali (o dell’Unione europea) nell’unico modo possibile. In questo ordine di idee, un’abrogazione o una modifica di tali norme si tradurrebbe in una lesione dei corrispondenti specifici disposti costituzionali[3].
Per quanto riguarda le norme costituzionalmente obbligatorie, quelle cioè il cui contenuto appare così intimamente legato al disposto costituzionale, da rappresentare l’unico svolgimento possibile, sicchè l’abrogazione della legge determinerebbe la lesione di un principio costituzionale, oppure comporterebbe l’impossibilità per un organo costituzionale di svolgere le sue funzione. La Corte costituzionale ha stabilito che queste possono essere modificate ma non integralmente abrogate. Un esempio chiaro di queste norme è rappresentato da quelle in materia elettorale[4].
Il referendum nell’ipotesi di norme costituzionalmente obbligatorie, non è del tutto inammissibile, ma l’ammissibilità è subordinata all’immediata applicabilità della c.d. normativa di risulta, ovvero della normativa risultante dall’esito del referendum.
Un altro limite da ricordare concerne la formulazione delle richieste referendarie. Su questo aspetto la Consulta esige, che tali richieste siano chiare, omogenee e coerenti. Nella giurisprudenza costituzionale, infatti, sono state giudicate inammissibili le richieste carenti di una “matrice razionalmente unitaria”, in forma tale da coartare il potere di scelta degli elettori (limitati con un’unica manifestazione di volontà a fare più scelte riguardanti ad oggetti diversi), e quindi in contrasto con il principio democratico e con la libertà di voto[5].
Al fine di rendere, l’espressione del voto consapevole, il referendum deve essere chiaro, per cui è indispensabile che la scelta tra le disposizioni da includere e quelle da escludere dall’oggetto del quesito referendario, non appaia contraddittoria o comunque inidonea a perseguire il fine per cui è stato proposto[6].
Infine, problematico risulta il limite che si desume dalla natura abrogativa del referendum che concerne l’ammissibilità dei c.d. referendum manipolativi. Al riguardo la Consulta ha escluso un uso indiscriminato della “tecnica del ritaglio”, relativa alla formulazione di richieste referendarie indirizzate ad abrogare singole parole contenute all’interno della legge, con l’obiettivo di far assumere alle parole rimanenti un significato del tutto diverso da quello originario. Un esempio chiaro in cui la Corte costituzionale[7] ha dichiarato inammissibili, perché a carattere sostanzialmente propositivo, sono state le richieste referendarie indirizzate alla costruzione di una nuova normativa mediante la saldatura di frammenti lessicali eterogenei, con il fine di sostituire la disciplina investita dalla richiesta referendaria, con un’altra disciplina assolutamente diversa ed estranea al contesto normativo[8].
NOTE:
[1]Cfr. R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, cit., pp. 496 ss; P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., p. 408; T. MARTINES, Diritto Costituzionale, cit., pp. 216 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 258 ss; DI CELSO M. MAZZIOTTI, SALERNO G.M., Manuale di Diritto Costituzionale, cit., pp. 540 ss; G.U. RESCIGNO, Corso di Diritto Pubblico, cit., p. 476; L. PEGORARO, A. REPOSO, A. RINELLA, R. SCARCIGLIA, M. VOLPI, Diritto Costituzionale e Pubblico, cit., p. 477; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., p. 114; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 466 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., p. 272.
[2]Cfr. G. GUZZETTA, F. S. MARINI, Diritto pubblico italiano ed europeo, cit., p. 567.
[3]V. F. S. MARINI, Appunti di giustizia costituzionale, cit., p. 136.
[4]Ibidem, p. 567.
[5]Su questo aspetto un esempio da ricordare, è quello in cui non è stato approvato il referendum sull’intero codice penale militare di pace. Infatti, siccome tale referendum comprendeva una serie di norme non riconducibili ad un principio unitario, avrebbe finito per impedire all’elettore di esprimere valutazioni autonome e potenzialmente divergenti. V. F. S. MARINI, Appunti di giustizia costituzionale, cit., p. 136.
[6]V. la sentenza n. 35/2000. In www.cortecostituzionale.it
[7]V. la sentenza n. 38/2000. In www.cortecostituzionale.it
[8]Cfr. F. S. MARINI, Appunti di giustizia costituzionale, cit., p. 137.