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IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA (IL GIUDICE A QUO): YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.

IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA (IL GIUDICE A QUO)

di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

La questione di legittimità costituzionale deve essere introdotta alla Corte costituzionale dall’iniziativa di un giudice o autorità giurisdizionale nel corso di un giudizio. Questa è la prima condizione di proponibilità della questione nel giudizio in via incidentale.

Le condizioni di proponibilità della questione nel giudizio in via incidentale comportano che i legittimati ad adire la Corte costituzionale siano gli organi che esercitano funzioni giurisdizionali, e non le pubbliche amministrazioni che applicano la legge nei procedimenti di loro competenza. Esistono tuttavia delle incertezze poiché non sempre è chiaramente distinguibile l’attività giurisdizionale da quella amministrativa, ciò in quanto non è raro che organi istituzionalmente giurisdizionali svolgano funzioni amministrative e viceversa.

Un prima difficoltà che si è posta alla giurisprudenza italiana nel merito è stata la definizione della portata di tali qualificazioni, ovvero quando si sia in presenza di un “giudice” e di un “giudizio”. Il problema fondamentale è quello di determinare il soggetto legittimato a sollevare la questione di costituzionalità in via incidentale, vale a dire colui che può essere qualificato giudice a quo (o giudice del processo principale). La complessità è data dal fatto che, come dimostra la duplice coordinata utilizzata dallo stesso legislatore, non si può presumere un’identità tra l’esserci un giudice e l’esserci un giudizio e che, anzi, vi possono essere delle ipotesi in cui si è in presenza di un giudice ma non di un giudizio, e viceversa[1]. In queste circostanze al fine di stabilire se nei singoli casi sussista o meno la legittimazione a promuovere questioni incidentali, è necessario definire le nozioni di giudice e di giudizio, e stabilire se sia necessaria la presenza dell’uno, dell’altro o di entrambi.

La giurisprudenza italiana nel primo ventennio sull’argomento ha stabilito nelle relative sentenze[2], che per la valida instaurazione dell’incidente di costituzionalità è sufficiente alternativamente l’esistenza di un giudice o di un giudizio, ovvero che il procedimento in cui la questione sorge si svolga alla presenza di un organo istituzionalmente giurisdizionale, cioè incentrato nell’apparato della giurisdizione; o che costituisca l’esercizio di una funzione obbiettivamente giurisdizionale da parte di organi estranei alla organizzazione della giurisdizione, posti in posizione super partes. Sotto questo profilo ai giudici istituzionalmente tali, la legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità compete indipendentemente dal tipo di funzioni che svolgono nel giudizio a quo.

Una siffatta legittimazione dei giudici-magistrati nasce dal prioritario interesse pubblico della certezza del diritto e della osservanza della Carta Fondamentale. Ed ancora al fine di evitare che, non potendo né sollevare questioni di costituzionalità né disapplicare direttamente la legge[3], essi siano costretti a pronunciare sentenze fondandosi su leggi della cui conformità alla Carta Costituzionale sia dubbia[4]. In questa prospettiva la giurisdizione può essere intesa in senso soggettivo (come ufficio giudiziario) o in senso oggettivo (come funzione giurisdizionale). Si evidenzia, perciò, il problema se la legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale sia condizionata alla compresenza di entrambi i requisiti o alla sussistenza di almeno uno di essi.

Specularmente, può rilevarsi che l’esercizio di una funzione oggettivamente giurisdizionale è stato spesso argomento decisivo in assenza del requisito soggettivo. È accaduto, ad esempio che la Corte costituzionale, pur senza ritenersi inclusa fra gli organi del potere giurisdizionale[5], ha riconosciuto per la prima volta a se stessa (anche in composizione integrata) la propria legittimazione ad assumere la veste di giudice a quo[6], e procedere alla c.d. autorimessione di questioni di costituzionalità, riguardanti norme legislative applicabili nei procedimenti di sua competenza[7]. Con cui si stabilisce l’unica deroga alla impossibilità per il giudice delle leggi di esercitare le sue funzioni in maniera ufficiosa. Su tale autoqualificazione come giudice a quo, è da notare che la Corte non ha seguito un’argomentazione fondata sulla natura della propria funzione, ma si è limitata ad argomenti di ordine sistematico. Infatti, essa ha, cioè, ritenuto illogico che “proprio la Corte che è il solo organo competente a decidere delle questioni di costituzionalità delle leggi, sia tenuta ad applicare leggi incostituzionali[8]”.

È bene rilevare che negli anni successivi, la giurisprudenza italiana ha assunto un atteggiamento più restrittivo, limitando ed anche negando, la sufficienza del solo requisito soggettivo. In base al nuovo orientamento i giudici-magistrati non sono legittimati a sollevare questioni di costituzionalità, nell’ipotesi in cui non si è in presenza di un giudizio ma si tratta di un procedimento oggettivamente amministrativo (o strumentale), e nell’ipotesi in cui non abbiano alcun potere decisionale o, pur avendolo, lo abbiano già consumato.

Proprio per questo motivo è necessario che l’instaurazione del sindacato incidentale avvenga nel corso di un giudizio e che, in vista della definizione di esso, il giudice abbia il proprio potere di decisione. Come si evince dell’ordinanza n. 6 del 2008, in cui l’intervento di un magistrato, di per sé solo, non è idoneo ad alterare la struttura di un procedimento ed a connotarlo per ciò stesso, quale giudizio[9]. In conseguenza di ciò, il pubblico ministero, che ha il potere di esercitare l’azione ma non di emettere provvedimenti decisori, non è legittimato[10] ad instaurare questioni incidentali, potendo solo, come le parti private, sollevarle dinanzi al giudice.

Identiche considerazione valgono quando il giudice adito in sede cautelare (in via di somma urgenza o per la sospensione del provvedimento impugnato nel giudizio amministrativo), è legittimato a sollevare questioni di costituzionalità a condizione che non abbia consumato (e non consumi contestualmente alla rimessione), il suo potere cautelare: consumazione che non si verifica se egli si limita ad adottare un provvedimento interinale, destinato a valere solo fino alla ripresa del giudizio a quo. Ed ancora tale negativa della legittimazione e attuabile, rispetto del giudice istruttore, nell’ipotesi in cui l’instaurazione della questione di costituzionalità delle relative norme sono competenza e attuazione esclusiva del collegio[11].

Un’altra difficoltà con cui la giurisprudenza costituzionale italiana è chiamata a commisurarsi, è quella sugli elementi identificativi della esistenza di un giudizio, ovvero il carattere obbiettivamente giurisdizionale della funzione svolta [12]. Le sentenze della Corte costituzionale ricollegano tale carattere alla applicazione obiettiva del diritto nel caso specifico, alla posizione super partes del giudicante, ispirate al principio del contraddittorio e alla discussione pubblica, oltre che alla garanzia dei diritti di difesa[13].

Vi sono due occasioni[14] in cui la Corte costituzionale ha affermato che l’applicazione della legge da parte del giudice deve essere caratterizzata non solo da obiettività, ma anche dalla definitività, nel senso di idoneità della decisione a divenire irrimediabile, attraverso l’assunzione di un’efficacia analoga a quella del giudicato. In tal senso la salvaguardia della matrice giurisdizionale del sindacato incidentale non può essere così stringente da determinare la sussistenza di “zone franche” dal controllo di costituzionalità.

Sotto questo profilo si spiega, il perché la giurisprudenza costituzionale italiana utilizza, quasi sempre in aggiunta agli altri, due criteri di chiusura, diretti ad attuare il principio di costituzionalità e garantire la possibilità che ogni norma sia portata all’esame della Corte. Il primo criterio è che il riconoscimento dell’esistenza di un giudizio può avvenire ai limitati fini di consentire la rimessione della questione, pur se il luogo di promuovimento non offre sufficienti garanzie di tutela giurisdizionale. Il secondo è che il riconoscimento della legittimazione può essere giustificato anche con l’esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi che più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte[15].

I suddetti criteri sono riferiti nelle sentenze n. 226 del 1976 e 384/1991, nelle quali si stabilì che la sezione di controllo della Corte dei Conti, nell’esercizio del controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, è legittimata a sollevare questioni incidentali di costituzionalità, ma solo in riferimento a profili di copertura finanziaria delle leggi di spesa[16].

Un’altro esempio[17] da ricordare, fra tanti altri[18], è quello relativo al procedimento disciplinare a carico di magistrati, che si svolge dinanzi alla commissione disciplinare del CSM, alla quale è stata riconosciuto il carattere giurisdizionale ai limitati fini della proposizione di questioni incidentali di legittimità costituzionale[19].

La finalità di depurare l’ordinamento da norme incostituzionali può essere percepita nei casi in cui è stata ammessa la legittimazione di organi investiti di funzioni giurisdizionali, ma privi di sufficienti garanzie di imparzialità e indipendenza, allo scopo di poter caducare, proprio per tale carenza, la giurisdizione ad essi attribuita. È il caso, ad esempio, del Comandante di Porto, organo amministrativo periferico gerarchicamente dipendente dal Ministro della marina mercantile, cui era attribuita giurisdizione penale e civile[20].

Un argomento lungamente discusso riferito all’esercizio di “funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge” da parte di soggetti “pure estranei all’organizzazione della giurisdizione”, è stato risolto dalla Corte costituzionale affermando che anche gli arbitri “rituali” possono e debbono sollevare incidentalmente questione di legittimità costituzionale delle norme di legge che sono chiamati ad applicare, dal momento che il giudizio arbitrale è sostanzialmente fungibile con quello che si svolge davanti agli organi statali della giurisdizione[21]. Diversamente, non è stata invece riconosciuta la legittimazione dei notai, non avendo la funzione notarile connotazione decisoria[22].

Come si osserva pur in presenza di significativi revirements, la giurisprudenza costituzionale italiana ha una preferenza per il criterio oggettivo[23]. Infatti, si osserva che la tendenza a negare la legittimazione all’autorità giudiziaria (soggettivamente considerata), nell’esercizio di funzioni meramente amministrative o, comunque, prive di contenuto decisorio. Ad esempio, è stata negata la legittimazione delle sezioni consultive del Consiglio di Stato chiamate a rendere il parere obbligatorio sul ricorso straordinario al Capo dello Stato, in quanto tale ricorso, benché alternativo a quello giurisdizionale e nonostante le sue peculiarità, ha natura amministrativa ed è deciso da un organo non giurisdizionale[24].

NOTE:

[1]Ibidem, p. 531.

[2]V. la sentenza n. 83 del 1996 e n. 226 del 1976, in www.cortecostituzionale.it.

[3]V. l’articolo 101, secondo comma della Costituzione.

[4]V. le sentenze n. 129 del 1957 e n. 226 del 1976, in www.cortecostituzionale.it.

[5]V. le sentenze n. 13 del 1960 e n. 226 del 1976, in www.cortecostituzionale.it.

[6]Su questo argomento, v. L. PEGORARO, A. REPOSO, A. RINELLA, R. SCARCIGLIA, M. VOLPI, Diritto Costituzionale e Pubblico, cit., pp. 451 ss; DI CELSO M. MAZZIOTTI, SALERNO G.M., Manuale di Diritto Costituzionale, cit., p. 505; G.U. RESCIGNO, Corso di Diritto Pubblico, cit., pp. 461 ss; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp.155 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 171 ss; L. MEZZETTI, Manuale Breve Diritto Costituzionale, cit., pp. 399 ss; M.S. CICCONETTI, Lezioni di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 55 ss; R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, cit., p. 881; P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., pp. 392 ss; T. MARTINES, Diritto Costituzionale, cit., pp. 312 ss; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 67 ss.

[7]V. l’ordinanza n. 22 del 1960, in www.cortecostituzionale.it.

[8]V. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 532.

[9]V. l’ordinanza n. 6 del 2008, in www.cortecostituzionale.it.

[10]Tali presupposti di mancanza di riconoscimento di legittimazione si possono osservare nel sistema italiano, ad esempio, in quella del Giudice Conciliatore nel procedimento di separazione fra i coniugi in osservanza della sentenza n. 216/1983, nel caso del presidente del Tribunale in sede di registrazione di quotidiani in termini delle sentenze nn. 96/1976 e 170/2005, in quella del Consiglio di Stato Italiano quando interviene con carattere consultivo nei procedimenti relativi ai ricorsi straordinari al Capo dello Stato, a norma delle sentenze nn. 78/1966 e 254/2004[10]; infine, nel caso del Collegio centrale di garanzia elettorale costituito presso la Corte di Cassazione Italiana nei termini della sentenza n. 378/1996. V. in www.cortecostituzionale.it.

[11]V. l’ordinanza n. 23 del 2001, in www.cortecostituzionale.it.

[12]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 532.

[13]V. le sentenza n. 376 del 2001, ordinanza n. 86 del 2002, ordinanza n. 52 del 2003, in www.cortecostituzionale.it.

[14]V. la sentenza n. 387 del 1996, ordinanza n. 6 del 2008, in www.cortecostituzionale.it.

[15]Esistono casi in cui è stato considerato sufficiente il criterio soggettivo. Ad esempio, nella giurisprudenza costituzionale italiana, è stata riconosciuta la legittimazione ad instaurare la questione di legittimità costituzionale ai giudici in sede di vigilanza, riguardo all’esecuzione delle pene in osservanza dell’ordinanza n. 249/2000. Lo stesso nell’ipotesi dei casi dell’autorizzazione all’interruzione della gravidanza in termini dell’ordinanza n. 445/1987. In www.cortecostituzionale.it.

[16]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 532.

[17]V. la sentenza n. 12 del 1971, in www.cortecostituzionale.it.

[18]Ed ancora, il caso del Consiglio Nazionale Forense in sede disciplinare di cui alle sentenze nn. 114/1970 e 189/2001; dei Commissari agli Usi Civici a norma dell’ordinanza n. 17/1999; delle Commissioni Tributarie, ex plurimis nei termini della sentenza n. 322/2002; e dell’arbitro in sede di arbitrato rituale a norma dei decreti nn. 376/2001, 207/2004 e 298/2005, per citarne solo alcuni. Cfr. www.cortecostituzionale.it.

[19]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 532.

[20]V. le sentenze n. 121 del 1970 e n. 164 del 1976, in www.cortecostituzionale.it.

[21]V. la sentenza n. 376 del 2001, in www.cortecostituzionale.it.

[22]V. l’ordinanza n. 52 del 2003, in www.cortecostituzionale.it.

[23]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 531.

[24]V. la sentenza n. 254 del 2004, in www.cortecostituzionale.it.

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