IL PROCESSO E GLI EFFETTI DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA NEI CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE: YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.
IL PROCESSO E GLI EFFETTI DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA NEI CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE
di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
L’articolo 37[1] della Legge n. 87 del 1953 e gli articoli 26 e 27 delle Norme integrative prevedono che il conflitto di attribuzione sia sollevato mediante ricorso, sottoscritto e depositato nella cancelleria della Corte, entro venti giorni dall’ultima notificazione.
Il ricorso dovrà contenere le ragioni del conflitto, le norme costituzionali in cui è stabilita l’attribuzione, la richiesta di una dichiarazione sulla spettanza del potere, ove necessario una pronuncia di annullamento dell’atto lesivo. Il requisito del ricorso è da intendersi in senso sostanziale: la Corte ha infatti ammesso che il conflitto possa essere sollevato con ordinanza da parte del giudice ricorrente, a condizione che siano presenti gli elementi del ricorso[2].
Non essendo previsti termini di decadenza il conflitto può essere sollevato in qualsiasi momento. Ciò al fine di favorire al massimo la risoluzione delle suddette controversie[3].
Il giudizio dinnanzi alla Corte costituzionale si articola in due fasi autonome, anche se funzionalmente collegate tra di loro: la prima, in cui il giudice delibera sull’ammissibilità del conflitto, la seconda di merito, che si svolge tra le parti prefigurate dall’ordinanza di ammissibilità.
In particolare la prima fase è diretta ad accertare se prima facie sussiste materia del conflitto, sotto i profili soggettivo e oggettivo. Essa si svolge senza l’instaurazione di un contraddittorio e si conclude con un’ordinanza adottata in camera di consiglio. L’ordinanza che dichiara ammissibile il conflitto non precostituisce tuttavia il giudizio nel merito, né preclude che il giudice costituzionale possa mutare questa previa valutazione di ammissibilità[4].
Nella fase di merito, la Corte dopo aver nuovamente valutato l’ammissibilità del conflitto, risolve questo, stabilendo il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione e, ove sia stato emanato un atto, lo annulla con sentenza[5].
In ragione della natura contenziosa del giudizio, la sentenza produce effetti solo inter partes, per lo meno nella parte relativa alla spettanza del potere. Ciò significa che la Corte potrà decidere su una determinata competenza in maniera diversa da quando già deciso in passato, e che potranno successivamente prospettare un nuovo ricorso, in relazione ad una fattispecie identica ad altra già decisa dal giudice costituzionale, sia le stesse parti di quello stesso giudizio, sia ogni altro soggetto legittimato a ricorrere[6].
Nel caso in cui la Corte proceda anche all’annullamento dell’atto invasivo, l’effetto della sentenza, almeno pro parte qua, ha effetti erga omnes e carattere tendenzialmente retroattivo[7].
Infine la Corte sinora – pur se espressamente sollecitata in tal senso[8] – non ha ritenuto applicabile al conflitto inter organico, l’istituto della sospensione cautelare dell’atto impugnato previsto dall’articolo 40[9] della Legge n. 87 del 1953 solo per i conflitti tra enti[10].
NOTE:
[1]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 40 e 56 ss.
[2]V. la sentenza n. 82/2000.
[3]V. la sentenza n. 58/2004
[4]Al riguardo, osservano E. Malfatti, S. Panizza, R. Romboli, Giustizia costituzionale, cit., p. 241, “bisogna interrogarsi sull’utilità della doppia sequenza procedimentale, dato che l’esame che la Corte effettua nella prima fase può essere disatteso se non radicalmente capovolto nella seconda”. Ed ancora “in una seconda e rovesciata prospettiva, si potrebbe auspicare maggiore cautela per i casi in cui la dichiarazione di inammissibilità, in limine litis, investe casi problematici, sul piano oggettivo e soggettivo, in considerazione dell’apporto che le parti potrebbero successivamente fornire e, proprio tenendo conto della possibilità – sulla base delle norme vigenti – di arrivare comunque a dichiarare l’inammissibilità, nella fase di cognizione piena”.
[5]Ai sensi dell’articolo 38 della Legge n. 87/1953.
[6]Cfr. S. M. cicconetti, Lezioni di giustizia costituzionale, cit., p. 107.
[7]Cfr. G. Guzzetta, F. S. Marini, Diritto pubblico italiano ed europeo, cit., p. 561.
[8]Ibidem.
[9]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 41 ss.
[10]La Corte nella sentenza n. 137/2000 ha negato tale possibilità. Cfr. E. Malfatti, S. Panizza, R. Romboli, Giustizia costituzionale, cit., p. 217.