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IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA (LA RILEVANZA): YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.

IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA (LA RILEVANZA)

di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Gli articoli 1 della Legge Costituzionale n. 1/1948[1] e 23 della Legge n. 87/1953, stabiliscono che l’incostituzionalità di una legge o di un atto avente forza di legge può essere sollevata da una delle parti, o dal pubblico ministero, od anche può essere sollevata di ufficio, dall’autorità giurisdizionale davanti alla quale verte il giudizio a quo. Ma prima di instaurare la questione deve verificare, a pena di inammissibilità che la stessa sia rilevante e non manifestamente infondata, per cui, il primo requisito intrinseco della natura incidentale del processo costituzionale è in primo luogo quello della rilevanza.

In quest’ordine di idee, per essere validamente rimessa alla Corte costituzionale la questione deve essere rilevante, ovvero riguardare una norma (di merito o di rito) applicabile nel giudizio a quo ed influente per la sua definizione. Tale requisito[2] stabilisce un nesso di pregiudizialità tra il giudizio dinanzi alla Corte e quello davanti il giudice a quo, accrescendo il tasso di concretezza del controllo di costituzionalità, che sorge in funzione della soluzione di una controversia pendente[3].

Con il requisito della rilevanza si pretende impedire che siano rimesse all’esame della Corte questioni di costituzionalità, relative a disposizioni di cui non deve esser fatta applicazione nel giudizio a quo. Ad esempio, nell’ipotesi in cui la norma non è pertinente alla fattispecie controversa o se non è ad essa applicabile ratione temporis. In altre parole, la rilevanza si pone come limite sia al potere delle parti di sollevare questioni di costituzionalità nel giudizio in corso, sia al potere-dovere del giudice di rimettere all’esame della Corte le questioni non manifestamente infondate.

Infatti, tale requisito, pur così definito, svolge comunque un adeguato filtro contro tentativi di sollevare questioni pretestuose o meramente dilatorie. Ovvero alle parti impedisce di ritardare pretestuosamente la decisione della causa, sollevando questioni ininfluenti, ai giudici impedisce di elevarsi a potere direttamente confliggente con quello legislativo, utilizzando il giudizio come sede per esercitare il potere di rimessione, anziché la rimessione come strumento per decidere il giudizio. Questa duplicità di funzione può spiegare perché al controllo sulla rilevanza svolto dal giudice, si aggiunga un controllo (esterno) svolto dalla Corte costituzionale[4].

La valutazione della rilevanza prescinde dagli effetti favorevoli o sfavorevoli e dall’interesse delle parti, potendo del resto la stessa sospensione del giudizio a quo risultare in conflitto con l’utilità concretamente perseguita da una di esse o da entrambe. Proprio per questo motivo, la rilevanza si identificherebbe, semmai, con l’interesse obbiettivo del giudice ad evitare l’applicazione di norme incostituzionali.

Dall’esame della disciplina emerge che sono state proposte varie nozioni di rilevanza, oscillanti da quella più ampia di mera applicabilità della disposizione, a quella di necessaria applicabilità della norma, a quelle di legame di necessaria pregiudizialità e di necessaria influenza della decisione della Corte costituzionale, sull’esito del giudizio a quo. In proposito la giurisprudenza costituzionale italiana ritiene che la rilevanza non dipende dalla mera eventualità, ma dalla necessità che la norma riceva applicazione da parte del giudice. Al giudice è richiesta una delibazione, allo stato degli atti, della necessità di applicare la legge denunziata in uno dei passaggi del processo a quo, finalizzati alla decisione[5].

La Corte costituzionale nelle ultime pronunce richiede una valutazione approfondita e molto  rigorosa, ad esempio, è stata riconosciuta la rilevanza anche quando dalla decisione della Corte non dipende l’esito del giudizio a quo, ma il modo di deciderlo. Un siffatto problema si è posto riguardo le questioni aventi ad oggetto le c.d. norme penali di favore, ovvero quelle che stabiliscono, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penale più favorevole di quello che risulterebbe dall’applicazione di una norma generale o maggiormente comprensiva[6].

Con il proposito di assoggettare anche tali norme al sindacato incidentale è necessario superare l’obiezione che la dichiarazione di incostituzionalità di esse non ne determina la disapplicazione nel giudizio a quo, in termini del principio dell’applicazione della legge più favorevole al reo[7]. Per cui, al fine di evitare questa irrilevanza necessaria, la Corte costituzionale ha evidenziato[8] che l’eventuale sentenza di incostituzionalità produce effetti sulla formula di proscioglimento o comunque sulla ratio decidendi.

Ed ancora la nozione di rilevanza diventa più angusta se viene posta in rapporto con i vizi denunciabili. Infatti, facendo applicazione estrema del carattere incidentale del giudizio costituzionale, la Corte costituzionale esige che anche il vizio di incostituzionalità debba essere rilevante, ovvero trovare riscontro in accadimenti o in vicende del giudizio a quo. Un esempio si è presentato con riferimento al divieto della denuncia sulla violazione del diritto alla difesa tecnica, se nel giudizio a quo le parti sono costituite con l’assistenza di difensori.

Per quanto riguarda il momento in cui la rilevanza deve essere valutata, il collegamento con il giudizio a quo deve sussistere al momento della rimessione. La regola è che i mutamenti di fatto intervenuti successivamente alla rimessione non influiscono sulla rilevanza e non incidono sulla prosecuzione del giudizio incidentale[9]. Ciò significa che il requisito della rilevanza deve essere valutato dal giudice a quo, allo stato degli atti (del processo)[10], nel senso che è sufficiente che questi ritenga ragionevolmente di dover applicare la norma di dubbia costituzionalità e che, pertanto, la pronunzia della Corte possa produrre una qualche influenza nel proprio giudizio. Può dirsi, dunque, che, sollevata la questione e sospeso il giudizio, la rilevanza si “cristallizza” [11].

Non sempre l’irrilevanza è, peraltro, accertabile al momento della proposizione della questione. Può accadere, infatti, che successivamente ad essa – e prima della conclusione del giudizio di costituzionalità – intervenga una nuova disciplina (o una sentenza della stessa Corte o della Corte di Giustizia europea) sulla materia (il c.d. jus superveniens, che può riguardare sia la norma-oggetto che la norma-parametro). In questa ipotesi la Corte ordina di regola la restituzione degli atti al giudice rimettente[12], quest’ultimo viene così posto in condizioni di rivalutare la situazione alla luce delle norme sopravvenute. Questo non significa che riemerge la dipendenza genetica del giudizio incidentale dal giudizio a quo, ma più probabilmente che diminuisce l’interesse oggettivo alla coerenza dell’ordinamento, già ricompostosi in qualche modo senza l’intervento della Corte costituzionale. La riprova è che, quando la modificazione normativa appare assolutamente ininfluente rispetto alla questione di costituzionalità, la Corte procede comunque ad esaminarla; e che, se la modificazione del testo legislativo lascia invariato il contenuto normativo, la Corte procede al trasferimento della questione sulla disposizione sopravvenuta.

La constatazione della irrilevanza o della manifesta irrilevanza conduce ad una declaratoria di inammissibilità. Per tali motivi, la giurisprudenza costituzionale richiede a pena di inammissibilità[13]della questione, che la rilevanza sia motivata dal rimettente, riservandosi di controllare la non implausibilità e la completezza della motivazione. La mancanza di motivazione equivale la motivazione apodittica e quella che trascuri circostanze decisive per la sussistenza del requisito. Un esempio di una rigorosa motivazione che si è presentato è quello relativo alla rilevanza delle questioni di costituzionalità aventi ad oggetto norme abrogate, delle quali occorre dimostrare l’applicabilità ratione temporis al giudizio in corso.

Al fine di permettere l’esame della Corte costituzionale, il giudice a quo deve descrivere, almeno sommariamente, la fattispecie su cui verte il giudizio. Nonostante ciò può succedere che, in assenza di specifica motivazione, le circostanze da cui dipende la rilevanza emergano in modo chiaro proprio dall’esposizione dei fatti di causa. Come si può evincere la Corte si limita, ad un sindacato “liminare” sulla rilevanza. Essa, cioè, non si sostituisce al giudice a quo, ma vaglia l’iter argomentativo da questi seguito, fondandosi soprattutto sulla motivazione dell’ordinanza di rimessione e, solo subordinatamente, sulle circostanze di fatto desumibili dall’ordinanza stessa o, eventualmente, dal fascicolo di causa (che il giudice a quo è tenuto a trasmettere[14]).

Dunque la Corte costituzionale non può scendere ad esaminare problemi di definizione della fattispecie concreta e di individuazione delle disposizioni che la regolano, e tanto meno di valutazione del materiale probatorio. Infatti essa non può rilevare il difetto di giurisdizione o di competenza del giudice, a meno che esso non abbia il carattere macroscopico dell’evidenza; ed ancora non può censurare l’iter logico seguito dal giudice e l’ordine di esame dei motivi proposti nel processo a quo; nemmeno può controllare la corretta instaurazione di esso, salvo che in presenza di vizi macroscopici rilevabili d’ufficio, e segnatamente in caso di nullità-inesistenza dell’atto introduttivo[15].

Il controllo che la Corte può esercitare sulla rilevanza è essenzialmente esterno, così da assicurare un giusto equilibrio tra il nesso di incidentalità e il rispetto degli ambiti di valutazione spettanti al giudice a quo. Nonostante ciò, è da rilevare che la Corte è passata da un riscontro puro e semplice al controllo di sufficienza ed esattezza, per approdare infine a forme di riesame della rilevanza.

NOTE:

[1]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 17.

[2]Sul requisito della rilevanza v. L. PEGORARO, A. REPOSO, A. RINELLA, R. SCARCIGLIA, M. VOLPI, Diritto Costituzionale e Pubblico, cit., pp. 452 ss; DI CELSO M. MAZZIOTTI, SALERNO G.M., Manuale di Diritto Costituzionale, cit., p. 509; G. U. RESCIGNO, Corso di Diritto Pubblico, cit., pp. 462 ss; A. CERRI, Corso di Giustizia Costituzionale, cit., pp.160 ss; A. RUGGERI, A. SPADARO, Lineamenti di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 174 ss; L. MEZZETTI, Manuale Breve Diritto Costituzionale, cit., pp. 401 ss; E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia Costituzionale, cit., pp. 102 ss; M.S. CICCONETTI, Lezioni di Giustizia Costituzionale, cit., pp. 56 ss; R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Pubblico, cit., p. 482; P. CARETTI, U. DE SIERVO, Istituzioni di Diritto Pubblico, cit., pp. 393 ss; T. MARTINES, Diritto Costituzionale, cit., pp. 314 ss; A. CELOTTO, La Corte costituzionale, cit., pp. 69 ss.

[3]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 533.

[4]Ibidem, p. 534.

[5]Idem, p. 534.

[6]V. le sentenze n. 161 del 2004 e n. 394 del 2006, in www.cortecostituzionale.it.

[7]V. l’articolo 2, primo comma del Codice Penale e articolo 25, secondo comma della Costituzione.

[8]V. la sentenza n. 148 del 1983, in www.cortecostituzionale.it.

[9]V. l’articolo 22, delle Norme integrative 16 marzo 1956, in M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 54.

[10]V. le sentenze n. 367 del 1991, in www.cortecostituzionale.it.

[11]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 534.

[12]V. le ordinanze nn. 510/1995, 513/1995 e 225/1999, in www.cortecostituzionale.it.

[13]Ad esempio, sono state considerate irrilevanti e inammissibili le ordinanze mancanti di motivazione riguardo alla rilevanza o in quelle dove mancava l’esposizione del procedimento a quo, e per ciò rendendo impossibile alla Corte costituzionale il controllo sulla rilevanza ex plurimis, questo nei termini delle ordinanze nn. 83/1987, 603/1988 e 326/1991 ed in quelle instaurate da un giudice carente dei poteri risolutivi in quando aveva già applicato la norma o si era già spogliato del processo, rispettivamente a norma dei decreti nn. 242/1990, 370/2005 e 377/2005 e dell’ordinanza n. 60/1987, in www.cortecostituzionale.it.

[14]Cfr. F.S. MARINI, G. GUZZETTA, Diritto Pubblico Italiano ed Europeo, cit., p. 534.

[15]V. le sentenza n. 109 del 2003, ordinanza n. 27 del 2006, in www.cortecostituzionale.it.

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