I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA STATO E REGIONI E FRA LE REGIONI DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA: YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.
I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA STATO E REGIONI E FRA LE REGIONI DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA
di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Ai sensi dell’articolo 39[1] della Legge n. 87 del 1953 “se la Regione invade con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato ovvero ad altra Regione, lo Stato o la Regione rispettivamente interessata possono proporre ricorso alla Corte costituzionale per il regolamento della competenza”. Allo stesso modo, il ricorso può essere promosso dalla “Regione la cui sfera di competenza sia invasa da un atto dello Stato”. I conflitti tra Stato e Regioni, diversamente dai conflitti interorganici, insorgono tra lo Stato persona e gli enti ad autonomia costituzionalmente garantita, dotati anch’essi di personalità giuridica, e sono perciò definiti intersoggettivi[2].
Il giudizio della Corte sui conflitti tra Stato e Regioni e tra le Regioni[3], contiene numerose analogie con il giudizio di legittimità costituzionale in via d’azione[4]. Ciò sopratutto dopo la revisione dell’articolo 127[5] della Costituzione, la quale ha avvicinato notevolmente le modalità procedurali di proposizione del conflitto fra enti a quello del giudizio principale[6]. In entrambi i casi, infatti, si tratta di un giudizio: a) azionato su ricorso; b) proposto dagli stessi soggetti (lo Stato e le Regioni); c) per motivi riguardanti una lesione di competenza. Nondimeno un esame più approfondito mostra che tra le due competenze della Corte, esistono rilevanti elementi di differenziazioni.
Il primo elemento concerne la natura giuridica degli atti, sottoposti a giudizio nell’ambito del sindacato di legittimità costituzionale, e, in quello relativo ai conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni. Mentre l’articolo 134[7] della Costituzione, stabilisce che oggetto del giudizio di legittimità costituzionale possono essere soltanto le leggi e gli atti aventi forza di legge, nulla dice riguardo agli atti suscettibili di dar luogo ad un conflitto di attribuzione, sia che esso sia sollevato tra poteri dello Stato, sia che esso sia sollevato fra Stato e Regioni o fra le Regioni. Peraltro scarso apporto a tale problema può dare l’articolo 39[8] della Legge n. 87 del 1953, che si limita a parlare di atti invasivi della competenza dello Stato o delle Regioni, senza specificare la natura giuridica di tali atti.
Risulta necessario per giungere a una differenziazione, dunque, fare un ragionamento di tipo residuale: visto che lo Stato e le Regioni devono ricorrere al giudice costituzionale in sede di legittimità costituzionale, nel caso in cui la lesione di competenza sia stata determinata da una legge o da un atto di legge, ne consegue, in via residuale, che lo Stato e le Regioni possono ricorrere alla Consulta in sede di conflitto di attribuzioni, solo nel caso in cui la lesione di competenza sia stata determinata da un atto diverso dalla legge o da un atto avente forza di legge. In base a tali assunti il ricorso è ammissibile nei confronti di regolamenti amministrativi, atti amministrativi e decisioni giurisdizionali[9]. L’elenco degli atti idonei a dar vita al conflitto si è allargato nel tempo[10], comprendendo anche atti aventi efficacia interna, come le circolari, e privi di elementi costitutivi di natura formale, come una lettera o un telegramma, sempre che tuttavia contenenti ”una chiara manifestazione di volontà in ordine all’affermazione di una propria competenza[11]”, laddove cioè richiedano solamente di essere portati ad esecuzione, senza che il loro destinatario disponga di discrezionalità, in modo da far risalire all’atto impugnato, la lesione della sfera costituzionale delle competenze[12]. Non sono quindi, ammissibili conflitti su meri inviti, sollecitazioni non vincolanti. Inammissibile, per difetto di “tono costituzionale”, è anche il conflitto di attribuzione nel caso in cui l’ente ricorrente – in molti casi la Regione – lamenti una lesione di un diritto reale, o patrimoniale, nell’ambito di una mera vindicatio rerum, non integrata da alcuna doglianza circa la menomazione di poteri costituzionalmente garantiti dell’ente, eventualmente inerenti ai beni di cui si tratta[13].
Un secondo elemento di differenza deriva dalla diversa posizione reciproca dello Stato e delle Regioni, rispetto ai motivi del ricorso, a seconda che lo Stato introduca un giudizio di legittimità costituzionale, oppure un giudizio su conflitto di attribuzione tra Stato e Regione. Nella prima ipotesi, lo Stato può adire la Corte impugnando una legge regionale non soltanto per violazione di norme parametro sulla competenza, ma altresì per violazione di qualsiasi altra norma parametro, anche se non relativa alla competenza; per contro, la Regione può ricorrere contro una legge o un atto avente forza di legge dello Stato, solo per lesione della propria competenza. Dunque, lo Stato dispone di una gamma di motivi di ricorso più ampia rispetto a quella della Regione. Da ciò ne consegue che la posizione dello Stato e delle Regioni, sotto questo aspetto non è paritaria bensì più favorevole per lo Stato[14].
Nella seconda ipotesi, invece, sia lo Stato che la Regione possono ricorrere alla Corte soltanto per lesioni di competenza, detto diversamente, i motivi del ricorso sono i medesimi per i due soggetti che, quindi si trovano in una posizione di perfetta parità[15].
L’articolo 39[16] della Legge n. 87 del 1953, è stato interpretato in senso estensivo dalla Corte, sia per quanto riguarda il riferimento all’invasione di competenza, sia per quanto concerne gli atti a fondamento del conflitto. In particolare con riferimento al primo profilo la Corte ha ritenuto ammissibile anche conflitti che non presupponevano vere e proprie invasioni di competenza e non consistevano in rivendicazioni di attribuzioni. E’ questo il caso dei conflitti da menomazione o da interferenza, cioè quei conflitti nei quali l’ente ricorrente non contesta la spettanza del potere, ma lamenta che il cattivo esercizio delle altrui competenze abbia avuto riflessi sulla propria sfera di competenza[17]. Al riguardo la Corte ha esplicitamente affermato nella sentenza n. 129 del 1981: “E’ infatti consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il criterio per cui la figura dei conflitti di attribuzione, sia tra lo Stato e le Regioni sia tra i poteri dello Stato, non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa la titolarità del medesimo potere, che ciascuno dei poteri rivendichi per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall’illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all’altro soggetto”.
In secondo luogo, il termine “atti” è stato interpretato in modo che anche da un’omissione, rispetto ad un’attività costituzionalmente doverosa, possa scaturire un conflitto tra enti. In ogni modo in analogia con il conflitto interorganico, la Corte ha chiarito che il conflitto tra enti non può essere meramente virtuale, dovendo presentare i caratteri dell’attualità e della concretezza [18]. Il conflitto cioè, non può essere solo virtuale o ipotetico, ma deve scaturire da un atto, anche solo potenzialmente lesivo della competenza dell’ente.
Ai sensi dell’articolo 39[19] della Legge n. 87 del 1953, le norme parametro alla stregua delle quali il giudice costituzionale giudica i conflitti di attribuzione, tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni, sono “le disposizioni della Costituzione e delle leggi costituzionali”.
Nella sentenza n. 217 del 1991 la Corte ha poi ribadito che la competenza deve trovare fondamento in norme costituzionali[20], tuttavia essa ha esteso il valore parametrico in generale a tutte quelle norme che, pur non essendo contemplate in fonti formalmente costituzionali, hanno tuttavia la funzione di integrare o di esplicitare le competenze stabilite a livello costituzionale. In particolare, ciò si è realizzato nei confronti dei decreti legislativi di attuazione degli Statuti delle regioni ad autonomia speciale[21], dei decreti legislativi di trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni ordinarie[22], dei regolamenti comunitari[23], di alcune leggi ordinarie aventi particolare rilevanza[24] e del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni[25], contemplato ora esplicitamente all’articolo 120, comma 2 della Costituzione[26].
La dottrina ha evidenziato al riguardo che si registra, dunque, un sensibile scadimento del “tono” costituzionale dei conflitti ed una loro accentuata “amministrativizzazione[27]”. Spesso accade infatti che lo stesso atto, illegittimo e incostituzionale ad un tempo, viene impugnato sia davanti alla Corte costituzionale, sia davanti al giudice amministrativo, con la probabilità che si verifichino complicate interferenze tra i due giudizi.
NOTE:
[1]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 40.
[2]Cfr. De vergottini, Diritto costituzionale, Padova, 2008, p. 682; cfr. anche P. Barile, E. cheli, S .grassi, Istituzioni di diritto pubblico, cit., 2009, p. 230.
[3]Ivi comprese, analogamente ai giudizi di legittimità in via d’azione, le province autonome di Trento e di Bolzano.
[4]Cfr. S. M. cicconetti, Lezioni di giustizia costituzionale, cit., p. 87; cfr. anche E. Malfatti, S. Panizza, R. Romboli, Giustizia costituzionale, cit., p. 208, osserva che nella prassi il conflitto tra enti ed il giudizio in via principale hanno assunto una coloritura decisamente similare” nel senso che entrambi sono volti essenzialmente a garantire la tutela delle reciproche sfere di competenza, sia pure sotto angoli visuali differenziati, nel secondo caso contro i pregiudizi che potrebbero derivare dall’emanazione di un atto legislativo, nel primo caso invece da qualsiasi altro atto di diversa natura o anche da comportamenti giuridicamente rilevanti”.
[5]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., pp. 11 ss.
[6]Cfr. A. cerri, Corso di giustizia costituzionale, cit., p. 338.
[7]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 12.
[8]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 41.
[9]Nella sentenza n. 39/2007 la Corte ha specificato con riferimento alle decisioni giurisdizionali che il conflitto non si deve tradurre in un improprio strumento di gravame.
[10]V. la sentenza n. 14/1965 il regolamento consiliare; sentenza n. 341/1996 un ordine del giorno consiliare, sentenza n. 256/1989, l’atto di indizione di un referendum, la pubblicazione di una legge o di altro atto normativo, sentenza n. 611/1987, l’accordo concluso da una Regione con uno stato estero, fuori dai casi e modi in cui è consentito, sentenza n. 187/1985.
[11]V. la sentenza n. 120/1979.
[12]Cfr. A. ruggeri. A. spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., p. 260; Cfr. A. cerri, Corso di giustizia costituzionale, cit., p. 345.
[13]Nella sentenza n. 302/2005 la Corte ha ribadito l’inammissibilità del conflitto intersoggettivo “quando si controverta della titolarità dei beni (vindicatio rei) e non della spettanza o della delimitazione di funzioni attribuite dalla Costituzione o dagli statuti speciali di autonomia e delle relative norme di attuazione (vindicatio potestatis), essendo nel primo caso la questione da proporre nelle forme ordinarie davanti ai giudici competenti”.
[14]Cfr. S. M. cicconetti, Lezioni di giustizia costituzionale, cit., pp. 88 ss.
[15]Ibidem.
[16]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 41.
[17]V. la sentenza n. 731/1988.
[18]V. le sentenze nn. 164/1963, 97/1972, 350/1989.
[19]V. M. SICLARI, Norme relativi ai giudizi di competenza della Corte Costituzionale, Testi Normativi n. III, Collana diretta da Massimo Siclari, cit., p. 41.
[20]V. la sentenza n. 211/1994.
[21]V. le sentenze 585/1989, 341 /1996; 61, 86, 121,182,263 del 1997; 137 e 352 1988.
[22]V. le sentenze nn. 133 e 324/2005.
[23]V. le sentenze nn. 399 del 1987; 85 e 272 del 1996; 93 del 1997.
[24]Legge 400/1988.
[25]V. le sentenze nn. 72,73,177,324 e 386/2005; 31/2006.
[26]Sul rilievo del principio di leale collaborazione come tecnica di giudizio cfr. E. Malfatti, S. Panizza, R. Romboli, Giustizia costituzionale, cit., pp. 217 ss.
[27]Cfr. A. ruggeri, A. spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., p. 259.