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GLOBAL ECONOMY

L’ANDAMENTO DELL’ECONOMIA GLOBALE NEL XXI SECOLO: IL SOGNO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE, OVVERO IL PASSAGGIO AD UN “CAPITALISMO INCLUSIVO”, ANTIDOTO PER ARGINARE IL QUADRO MACRO-ECONOMICO ODIERNO.

di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz  Dottore di ricerca in Diritto 

pubblico Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

 

SOMMARIO: 1. La prima vittima recata dagli eccessi del capitalismo: la mancanza di fiducia verso i leader e le istituzioni. – 2. Misure per riacquistare la fiducia perduta. – 3. Gli effetti della crisi economico – finanziaria: dalla Grecia dell’anno 377 a. C. alla Grecia del XXI secolo. – 4. Gli effetti della crisi economico – finanziaria odierna negli Stati Uniti d’America (circa 45 milioni i cittadini statunitensi poveri) e nel Porto Rico. – 5. La Grande crisi economico – finanziaria che potrebbe colpire alcuni Paesi dell’EU28. – 6. La Grande crisi economico – finanziaria che potrebbe colpire alcuni Paesi emergenti africani. – 7. Gli effetti della crisi economico – finanziaria odierna e la relativa caduta dei prezzi delle materie prime (petrolio e minerali) nei Paesi produttori: Australia e Paesi emergenti. – 8. Il “capitalismo inclusivo”: antidoto per arginare il quadro macroeconomico odierno. – 9. Verso il riacquisto della fiducia: le linee – guida ed i principi per stabilire buone pratiche nel sistema bancario e trasparenza finanziaria. Il caso del microcredito Grameen Bank ed il caso dell’Infonavit. – 10. Gli esiti della ricerca in merito all’andamento dell’economia globale in questo XXI secolo. – 11. Gli effetti benefici della crisi nell’Uomo secondo Albert Einstein. – 12. La “guerra dei numeri” e la strategia difensiva fondata sulla speranza, la buona volontà, il senso di fratellanza, il lavoro di squadra, l’ingegno, la saggezza e soprattutto l’Amore, molto Amore e moltissima Umanità: il piano Mrs T. – 13. Il giorno della consapevolezza: chi siamo e dove vogliamo arrivare: due riflessioni basilari.

Nel seguente studio proporrò una rilettura o meglio ancora una revisione del contesto attuale (economico – sociale), partendo dal generale al particolare  dell’andamento della economia globale, al fine di conoscere quali potrebbero essere gli antidoti per cambiare questa cruda realtà di questo XXI secolo.

1. La prima vittima recata dagli eccessi del capitalismo: la mancanza di fiducia verso i leaders e le istituzioni

L’analisi dell’andamento dell’economia globale  del XXI secolo, ci mostra un quadro di emarginazione, precarizzazione, segregazione sociale, disuguaglianza, speculazione e corruzione, che punta in senso opposto all’inclusione sociale che si vorrebbe ottenere da parte della Comunità Internazionale, che purtroppo continua ad aggravarsi a livello planetario e motivo del modello di capitalismo e di economia finanziaria odierni, caratterizzati da un “eccesso” nell’assunzione dei rischi, nella complessità delle remunerazioni e delle operazioni, tanto da risultare non del tutto “trasparenti” e che stanno provocando una distruzione del valore su grande scala. Tutto ciò ha prodotto in primis una vittima, ovvero il cuore pulsante di una società: la fiducia. Quella fiducia che i cittadini conferiscono ai leaders, alle istituzioni attraverso il patto sociale, si è frammentata, infatti, secondo gli ultimi sondaggi realizzati a livello globale, fra cui quello di Edelman Trust Barometer(1), meno di un quinto delle persone intervistate considera che i governi o i dirigenti aziendali dicano la verità su questioni rilevanti. Circostanza che viene ribadita nell’ultimo rapporto dell’OCSE, Government at Glance 2015(2), in cui viene sottolineato dal vice segretario generale dell’organizzazione Mari Kiviniemi, che ci sono molti Paesi sviluppati che richiedono la divulgazione dei beni dei funzionari pubblici e zero tolleranza nei conflitti di interesse tra di loro. Senza queste misure verrà ancor di più minata la fiducia dei cittadini del mondo. Lo studio analizza le tendenze dei 34 Paesi membri dell’OCSE e gli altri partners attraverso il confronto di 50 indicatori relativi alle finanze pubbliche o all’accesso ai sistemi sanitari, l’istruzione e la giustizia. La ricerca mostra che tra il 2007 e il 2014 la fiducia generale nel governo è scesa del 3,3% (dal 45,2% al 41,8%). Durante questo periodo, i cali più acuti si sono verificati in Slovenia (30%), Finlandia (29%), Spagna (27%) e Portogallo (22%), dovuti a questioni economiche, cambiamenti politici (elezioni) e scandali di corruzione. I dati dello studio sono stati raccolti nelle indagini condotte dalla Gallup Poll(3) Mondiale nel 2014. I primi cinque Paesi con maggiore fiducia sociale sono la Svizzera (75%), l’India (73), il Lussemburgo ( 66), l’Indonesia (65) e la Russia (64%). I Paesi che sono agli ultimi posti della lista sono la Slovenia (18%), Grecia (19%), Spagna (21%), Lettonia (23%), Portogallo (23%), Polonia (25%), la Francia (26%), Colombia (30%), Slovacchia (31), Italia (31%), Cile (31%), Ungheria (33%), Messico (33%), Repubblica Ceca (34%), Sud Africa (34 %) e USA (35%). Questi dati sono un segno di allerta per l’intera Comunità Internazionale, giacché come è noto la fiducia è il cuore non solo dell’economia imprenditoriale moderna ma anche della democrazia, dello Stato di diritto, perché è inutile dirlo: “senza diritto, non c’è giustizia e senza giustizia, non c’è pace”. Per cui, se prendiamo in considerazione che viviamo in un mondo dove più che mai si è interconnessi l’un con l’altro, “la fiducia risulta molto difficile da guadagnare e più facile da perdere”.

2. Misure per riacquistare la fiducia perduta

Arrivati a questo punto la domanda da porsi è la seguente: come possono riacquistare le istituzioni, i governi della Comunità Internazionale ed in particolare quelli dei Paesi Europei, la fiducia dei cittadini? Come si può far dimenticare ai cittadini del mondo il messaggio negativo che è registrato nelle loro menti, in cui si osserva che in alcuni Paesi colpiti della crisi, al fine di salvare ad ogni costo il sistema bancario, si è fatto pagare il prezzo alla fascia più debole della popolazione? Come si possono cancellare quelle immagini che si sono viste attraverso le notizie trasmesse dalle tv e lette nei diversi quotidiani che hanno fatto il giro del mondo, storie molto tristi, di persone che hanno perso il loro lavoro dopo la chiusura obbligata delle aziende in cui prestavano il loro servizio, per i debiti che avevano accumulato i loro datori di lavoro nei confronti delle banche a causa della crisi? Abbiamo visto storie drammatiche di imprenditori che si sono suicidati nella impotenza di non riuscire a pagare gli stipendi ai loro lavoratori e soprattutto nell’impossibilità di potere ripagare il debito verso le banche; abbiamo visto intere famiglie che sono state sfrattate dalle loro case, perché i capi famiglia avevano perso il lavoro e non potevano pagare il mutuo e messe sulla strada, nuclei familiari che si sono dovuti dividere: madre e padre, che al fine di salvaguardare l’integrità dei membri più piccoli, hanno inviato a casa dei loro parenti i propri figli e mentre il resto dei componenti è andato ad abitare in strada nella propria automobile (coloro che la possedevano), in mezzo alla strada, o in una fatiscente casa di campagna, dormendo nei mezzi di trasporto, nei treni (lavoratori pendolari), altri nella disperazione assoluta di non ricevere aiuto e sostegno da nessuno, hanno perso l’equilibrio mentale e sono diventati dei veri e propri clochards, o peggio ancora, nel perdere l’equilibrio mentale e il senso della realtà, hanno commesso atti di violenza non solo verso la propria persona, ma anche verso i propri cari, per l’impossibilità di non essere in grado di dar loro i mezzi per soddisfare i bisogni primari minimi per un essere umano; altri invece, sono andati oltre e hanno usato la loro forza occupando abusivamente le case abbandonate; abbiamo visto inoltre, che molti giovani hanno visto cancellare i loro sogni, dovendo lasciare la scuola per riuscire a guadagnare “qualche soldo” per aiutare la famiglia, ormai frammentata per la perdita della casa e del lavoro del capo famiglia; ed ancora abbiamo visto l’impoverimento della qualità della vita degli anziani, questo perché in mancanza di risorse per la sussistenza dei loro parenti per la perdita del lavoro e della casa, hanno dovuto usare come strumento di welfare, la loro pensione (fra l’altro minima) per dare da mangiare ai loro discendenti, mettendo in secondo piano la salute e la loro qualità di vita; altri anziani, i meno fortunati, li abbiamo visti cercare nei cassonetti della spazzatura qualcosa per sfamarsi o per coprirsi; altri anziani (soli e senza casa) al fine di dormire alcune ore nella notte, addirittura hanno usato i mezzi di trasporto notturno come albergo ambulante; abbiamo visto una riduzione nei diritti sociali, in nome della crisi, che ha portato ad avere un esercito di giovani e di persone disoccupate, che purtroppo, hanno riversato la loro sofferenza e disaggio sociale contro le persone più disagiate, gli immigranti, i rifugiati, che ancora oggi, continuano a fuggire da quell’inferno che è la guerra. In questa confusione si sono venuti a creare conflitti, piccole battaglie per sopravvivere, per avere una casa, per avere un lavoro. Piccoli inferni, che non tutti hanno vissuto: quelli più fortunati, ragazzi e persone di svariata cittadinanza sono stati costretti ad emigrare, nella ricerca di un futuro migliore, mentre, nei loro Paesi si provava e si prova ancora a risolvere i problemi con delle “aspirine”: con incentivi economici, ma senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riaffermando così un dominio assoluto della finanza e del capitalismo “non inclusivo” che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo lunghe, costose e apparenti cure di cui abbiamo preso conoscenza dai dati rilasciati finora dai principali enti finanziari a livello globale, fra cui World Bank (BM, WB)(4), International Bank for Reconstruction and Development (IBRD o BIRS)(5), International Development Association (AID o IDA)(6), International Monetary Fund (FMI)(7)Federal Reserve System (Fed)(8)African Development Bank Group (9)Asian Development Bank (AsDB)(10)European Central Bank (BCE o ECB)(11) e, dai principali Osservatori e Centri di Ricerca, tra cui: The Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD o OCSE), The World Economic Forum(12)lUfficio Statistico dell’Unione Europea (Eurostat)(13) e Istituti Statistici dei relativi Paesi della Comunità Internazionale.

Infatti, come si è visto negli ultimi anni, le crisi sono state delle vere e proprie “epidemie”, che hanno portato gravi conseguenze per la salute degli Stati: l’austerità schiaccia le economie e porta alla disoccupazione di massa, inoltre provoca un forte calo del sistema bancario che ulteriormente aggrava il debito pubblico. Le economie vengono rovinate dal crollo delle entrate fiscali, dal calo della produzione e lasciano le imprese senza capitali sufficienti. Tutto ciò porta conseguenze umanitarie enormi: bambini, donne e anziani che vivono in condizioni di povertà; il tasso di mortalità che aumenta insieme alla disoccupazione giovanile, che attualmente, a livello globale, è arrivata a livelli record.

Questo clima di confusione è propizio alla corruzione e all’evasione fiscale, che porta inevitabilmente alla formazione di un debito pubblico senza fine.

In seguito allo sviluppo di queste “malattie economiche croniche”, vengono prescritte cure drastiche: richieste di austerità, richieste di riduzione degli stipendi, richieste di riduzione della spesa pubblica, richieste di tagli significativi alle pensioni, richieste di privatizzazioni e deregolamentazione, richieste di prelievi fiscali sempre più elevati.

Tali cure drastiche portano a grandi depressioni, come quella che stiamo vivendo, e che non si erano più viste dagli anni 1929-1933, gli anni della Grande Depressione.

Quindi è chiaro che le medicine prescritte, in tempi di crisi economico – finanziarie, dissanguano il paziente piuttosto che curarlo.

Per questi motivi è necessario che la Comunità Internazionale cambi rotta per evitare il grande fallimento di alcuni Stati membri (che oggi sono già in crisi o che si trovano nelle condizioni propizie per una depressione) e consentire ai loro popoli di vivere in condizioni dignitose, che permettano di avere speranza, democrazia e prosperità.

3. Gli effetti della crisi economico – finanziaria: dalla Grecia dellanno 377 a. C. alla Grecia del XXI secolo

Oggi, rivedendo l’andamento della crisi greca nella storia contemporanea, si scopre che questo Stato, non è stato il solo a dover affrontare l’inadempimento nei pagamenti del debito sovrano. La storia ci dimostra, infatti, che molti Stati membri della Comunità Internazionale non sono riusciti, in passato, a soddisfare i debiti verso i loro creditori, come dimostrato dai recenti studi(14) di Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart dell’Università di Harvard e Miguel Ángel Boggiano dell’Università di San Andrés di Buenos Aires, i quali hanno curato una classifica dei Paesi con il più alto numero di default o crisi del debito causato da instabilità politica, guerre e rivoluzioni, o da ondate di credito a basso costo a causa di un aumento dei prestiti di tipo speculativo dal XVI al XIX secolo.

Fino a poco tempo fa, quando si parlava di crisi del debito immediatamente si pensava all’Argentina e non c’è da meravigliarsi: il Paese sudamericano ha registrato il suo ottavo default nel mese di luglio 2014, il secondo più importante dopo quello del 2001.

Tuttavia il mancato pagamento di un debito è apparentemente “vecchio” quanto la storia stessa: infatti, secondo gli studi prima riferiti, fu in Grecia, nell’anno 377 a. C., in cui si verificò la prima forma di inadempienza quando una dozzina di polis – città greche – decisero di non rispettare i loro obblighi finanziari. Da notare, però, che la maggior parte delle crisi del debito nell’antichità sono state risolte attraverso l’inflazione e la svalutazione della moneta, concluse col ritorno di “meno soldi” in termini reali, come una sorta di ristrutturazione.

Da allora, il destino finanziario del popolo greco è stato ciclico: dal 1800 al 2000, si sono verificati circa 250 default, una media di più di uno all’anno.

I valori di default sono inerenti l’economia globale e non sono così rari e insoliti in alcuni Paesi, come economisti “ortodossi” e mass media vogliono far apparire.

Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite su questo tema, i Paesi in via di sviluppo sono stati i più vulnerabili alla crisi del debito dal 1950. Da allora fino ad oggi, si sono verificati 600 casi di ristrutturazione in 95 Paesi: di questi, oltre 180 sono stati impegni verso i creditori privati (banche e obbligazionisti stranieri), mentre il resto erano verso organismi internazionali di credito, come il Club di Parigi.

Il problema delle controversie legali promosse da obbligazionisti privati è stato diffuso, anche se negli ultimi 15 anni di ristrutturazione si è stabilizzato, fatta eccezione per casi come l’Argentina e la Repubblica Domenicana.

Considerando il valore predefinito come una crisi del debito causata da instabilità politica, guerre e rivoluzioni, o da ondate di credito a basso costo per iniziative speculative da incremento degli impieghi, i peggiori debitori della storia per numero di default o ristrutturazioni in fase di crisi legate alla impegni finanziari, sono: 1° la Spagna (14 eventi), 2° il Venezuela e l’Ecuador (11), 3° il Brasile (10), 4° la Francia, la Costa Rica, il Messico, il Perù, il Cile e il Paraguay (9), 5° l’Argentina, El Salvador, la Germania [compresa la Prussia, il Hesse, il Schleswig-Holstein e la Vestfalia] (8), 6° la Colombia, l’Uruguay e il Portogallo (7), 7° gli Stati Uniti d’America, la Bolivia, la Turchia, la Russia, la Grecia, l’Impero Austro-ungarico (6), 8° la Nigeria (5).

Per quanto riguarda il default dell’Argentina del 2001, pari a circa US $ 95.000 milioni, questo è stato considerato dagli economisti, come Jill Hedges, il più grande default sovrano della storia.

Ma alcuni esperti dicono che il più grande default negli ultimi tempi è stato quello della Grecia nel 2010, quando il Paese, a causa della crisi finanziaria scoppiata nel 2008, ha raggiunto un accordo di ristrutturazione del debito con gli obbligazionisti, in modo da pagare US $ 138.000 milioni in meno di quanto avrebbe dovuto, ovvero US $ 410.000 milioni di debito pubblico.

Sono pochi i Paesi che non hanno mai smesso di pagare i loro debiti o ristrutturarli: la Svizzera, il Belgio, la Norvegia, la Finlandia, la Corea del Sud, Singapore e la Nuova Zelanda.

Altri Paesi come gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Germania, sebbene non abbiano una storia creditizia “pulita”, vengono considerati “credibili” dai mercati internazionali, le ragioni principali sono due: perché hanno avuto lunghi periodi senza default e perché sono i maggiori creditori del mondo, data la quantità di capitale fornita.

4. Gli effetti della crisi economico – finanziaria odierna negli Stati Uniti d’America (circa 45 milioni i cittadini statunitensi poveri) e nel Porto Rico

La crisi attuale non sta risparmiando nessuno Stato membro della Comunità Internazionale, neppure quei Paesi “prosperi” come gli Stati Uniti d’America.

Dagli ultimi rapporti dell’editore MSNBC Bridget Todd(15), in questo Paese, molte famiglie americane stanno lottando ogni giorno per sopravvivere; un quadro di povertà che però può sembrare differente, così nel sud-ovest, come nella c.d. Rust Belt o cinghia di povertà statunitense, nell’area nordorientale in cui la povertà è sempre povertà. Una realtà che viene anche validata dalle linee guida ufficiali del Dipartimento di Salute e Servizi Umani degli Stati Uniti (Departament of Health and Human Services) da cui si osserva che sono attualmente circa 45 milioni i cittadini statunitensi che possono considerarsi poveri.

Secondo la National Center for Education Statistics (NCES), la maggior parte degli studenti che frequentano le scuole pubbliche vivono in condizioni di povertà. Una povertà che, secondo l’organizzazione Feeding America, ha molto a che fare con la razza: infatti, le persone e le famiglie di razza afroamericana sono quelle che lottano il doppio, o più del doppio, per avere un lavoro e per mettere il cibo in tavola, rispetto alle famiglie di razza “bianca” americana. Attualmente, inoltre, ci sono molti studenti senza casa: il Dipartimento della Pubblica Istruzione, infatti, ha registrato che, durante il biennio 2012-13, circa 1.258.182 studenti delle scuole pubbliche negli Stati Uniti non avevano una casa; di questi 75.940 studenti sono giovani non accompagnati da un adulto. Le donne di origine latina ed afroamericano hanno maggiori probabilità di vivere in condizioni di povertà. Secondo, il Pew Research Center(16) nel 2013, la ricchezza media degli statunitensi con redditi alti è di circa 639.400 dollari, quasi 7 volte in più del reddito medio delle famiglie della classe media che è di circa 96.500 dollari, una differenza molto alta negli ultimi 30 anni. Tali circostanze, sommate anche agli sviluppi economici nell’Unione europea, stanno portando le autorità statunitensi a riprogrammare le misure per riequilibrare il bilancio degli stati federati.

Nonostante le enormi differenze tra l’economia americana e quella greca, secondo l’esperta Romina Boccia(17), vi sono molte ragioni per essere preoccupati per il quadro cupo del bilancio federale degli Stati Uniti: secondo l’ufficio del bilancio del Congresso degli Stati Uniti, uno dei possibili scenari per il 2039 sarebbe un aumento del debito pubblico del 180%, che supererebbe quello greco. Il debito pubblico degli Stati Uniti(18), secondo Boccia, è già nella zona a rischio pericolo, circostanza che ha già un impatto negativo sulle prospettive di crescita dell’economia. Condizione che prende forza dal quadro economico presente oggi in Paesi con economie sviluppate ed elevati livelli di indebitamento (85-90% o più del PIL) e che stano crescendo più lentamente rispetto a Stati con livelli di debito più bassi. Inoltre, Boccia evidenzia la somiglianza tra i problemi di bilancio che affrontano gli Stati Uniti e la Grecia, per cui avverte sulla possibilità di un aumento del costo dei beni/servizi pubblici che può schiacciare a lungo termine l’economia statunitense. L’attuazione urgente di misure importanti, ma impopolari, nel quadro della riforma del bilancio sarà una difficile decisione politica degli Stati Uniti; rinviarle sarebbe come ricondurre la situazione ad un punto critico, seguendo l’esempio della Grecia, che riporterebbe inevitabilmente a misure di austerità inutilmente dolorose.

Il quadro economico prima descritto degli Stati Uniti, secondo il quotidiano The Washington Times(19), sta aggravandosi ogni giorno, anche a causa della crisi economica di Porto Rico (oltre al quadro che già vivono Detroit e New Jersey) che, parallelamente alla Grecia, registra alti tassi di disoccupazione e calo degli investimenti. I governi di Porto Rico e della Grecia si trovano ad affrontare una crisi economico – finanziaria molto simile: nessuno dei due ha abbastanza liquidità per restituire il denaro prestato; entrambi hanno un alto tasso di evasione fiscale e la corruzione e la mancanza di trasparenza affliggono le loro finanze pubbliche. Inoltre, né il Porto Rico né la Grecia godono della possibilità di svalutare la moneta al fine di rafforzare la loro competitività economica.

Tuttavia, secondo l’economista portoricano Elías Gutierréz(20)ci sono alcune differenze, nelle loro depressioni: la crisi economica dell’isola caraibica non è così complicata come quella della Grecia, perché l’economia del Porto Rico è integrata a quella degli Stati Uniti e quindi riceve iniezioni dai fondi federali statunitensi. Inoltre, il debito pro capite in Porto Rico è inferiore a quello della Grecia. Tuttavia, a differenza del Porto Rico, per la Grecia è più facile dichiarare il fallimento e, addirittura, tale Paese potrebbe lasciare l’euro” e ricorrere a prestiti di emergenza da parte delle istituzioni internazionali. Ed ancora, il debito della Grecia è posseduto, in primis, dal FMI, e a seguire dalla Commissione Europea e dalla Banca Centrale Europea. Nel caso del Porto Rico, il debito coinvolge migliaia di obbligazionisti, con il coinvolgimento nei processi di rinegoziazione di una pluralità di attori, a differenza della Grecia.

5. La Grande crisi economico – finanziaria che potrebbe colpire alcuni Paesi dell’EU28

Tornando alla crisi greca, se le misure finora prese dall’EU28 non fossero abbastanza per evitare il futuro fallimento del Paese (che rappresenta solo il 2% dell’economia europea, un piccolo paese in termini di PIL, ma con un debito enorme, che non gli permette di far fronte ai relativi pagamenti con le istituzioni internazionali), questo aggraverà la situazione di altri Paesi, soffocati dal loro stesso debito pubblico (quello della Grecia è il più alto in Europa, circa il 177% del PIL): Paesi come l’Italia e il Portogallo hanno, rispettivamente un debito del 132% e del 130% sul PIL. Quindi, se la Grecia in un futuro non lontano dovesse “lasciare l’euro”, gli analisti temono che si verifichi un “effetto contagio”: gli investitori potrebbero soccombere al panico e iniziare a trasferire i capitali in altre economie, rendendo ancora più fragile la situazione greca, come recentemente è stato riferito dal Premio Nobel per l’economia Paul Krugman(21), che ha analizzato i casi della Finlandia, Olanda, Francia, Germania, Spagna, Portogallo e Grecia.

Bisogna anche inserire in tutto ciò, quanto è stato riferito di recente dalla rivista Forbes(22): quella greca non è l’unica crisi in Europa; infatti le obbligazioni sovrane emesse dai Paesi del continente, considerati a rischio di default o che necessitano di soccorso, fra cui l’Italia, la Francia e la Spagna, stanno avendo rendimenti positivi, ma tali rendimenti sono bassi considerato il rischio, per cui gli investitori di tutto il mondo si stanno “riversando” sul debito pubblico dell’Unione Europea. Nel luglio 2012, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, si è impegnato a fare tutto il necessario per preservare l’euro. Prima di tale impegno, il debito spagnolo a 10 anni era al 7,4%, quello dell’Italia al 6,45% quello del Portogallo al 10,95% ed al 2,28% quello della Francia; ma nel 2015 le cifre sono molto diverse: il debito degli spagnoli a 10 anni è stato pagato poco più dell’1%, quello degli italiani al 1,2%, quello dei francesi allo 0,34%, quello dei portoghesi al 1, 6%.

In Germania, il centro finanziario dell’euro zona, le obbligazioni son scese sotto lo 0,1% (anche se attualmente rimane al di sotto dell’1%).

Col senno di poi, i rendimenti del debito spagnolo, italiano e portoghese sono difficili da giustificare, ma evidenziano la fiducia che gli investitori hanno in Draghi e nella BCE.

Una futura uscita della Grecia farebbe, quindi, indebolire il tessuto dell’euro-zona e porterebbe in tavola l’incertezza sulla credibilità delle istituzioni europee.

Ancora, secondo l’editorialista Matt O’Brien del Washington Post(23), l’economia islandese fallita nel 2008, è riuscita emergere dalla recessione grazie all’uso della moneta nazionale, mentre la moneta comune ha acutizzato i problemi economici dei Paesi dell’euro-zona, fra cui la Finlandia ed i Paesi Bassi, che sebbene abbiano seguito le regole dell’Unione europea, non sono riusciti a gestire l’impatto della crisi.

Com’è noto l’economia finlandese è stata gravemente danneggiata da Apple, poiché il reddito nazionale dipendeva dall’esportazione dei prodotti tecnologici Nokia e dall’industria cartiera. Secondo l’ex primo ministro, Alex Stubb, l’iPhone ha ucciso entrambi i settori e la svalutazione per la riduzione dei costi sarebbe il metodo più semplice per compensare le perdite, ma la Finlandia, che utilizza l’euro, non ha moneta da svalutare: tutto quello che può fare è ridurre la spesa tramite il taglio dei salari, come richiesto dalle norme UE. Misure, però, che non solo hanno richiesto molto tempo, ma che hanno ulteriormente danneggiato l’economia finlandese, portando alla recessione più lunga della sua storia.

Nel caso olandese, in particolare, nei Paesi Bassi è presente un’enorme bolla immobiliare ed il debito delle famiglie è il più grande dell’euro-zona. La politica di austerità attuata dal governo locale non ha migliorato la situazione e l’economia olandese è in fase di stagnazione dal 2007.

Il caso islandese, invece, è stato diverso e la sua economia, crollata nel 2008 (con la corona islandese che ha perso il 60% del suo potere d’acquisto), è stata risollevata dall’utilizzo dello strumento della svalutazione, che ha aumentato la competitività del Paese scongiurando la caduta dell’economia locale in una depressione.

L’impossibilità per i Paesi dell’euro-zona di poter svalutare la valuta o di tagliare i tassi di interesse, rende i loro problemi economico-finanziari di più difficile soluzione.

Ulteriori elementi da annoverare in questo quadro, sono forniti dallo studio del Fondo Monetario Internazionale (FMI), riportato dall’agenzia Reuters(24), ed inviato ai governi dell’euro-zona la notte del 13 luglio 2015, dopo l’accordo sul programma di aiuto alla Grecia, per 80.000 milioni di euro, in cui in il FMI avverte sulla non sostenibilità del debito greco, il quale potrebbe avere bisogno di più di quanto sia stato considerato e proposto finora dal meccanismo europeo. Tali misure, secondo il FMI sarebbero insufficienti a risolvere i problemi di questo Paese, per cui si chiede ai Paesi europei di offrire alla Grecia una moratoria completa sui pagamenti del debito per 30 anni, termine che include, sicuramente, nuovi prestiti e nuovi aggiornamenti dei termini dei pagamenti, per uscire dalla depressione, ma tale alternativa non sembra trovare sostenitori tra gli Stati membri dell’EU. Il messaggio del FMI è che la Grecia è impantanata in una crisi profonda che non può sopportare ulteriori tagli e austerità, ovvero tagli alle pensioni ed aumenti fiscali pari a due punti percentuali del PIL per l’aggiustamento fiscale del 2016. Circostanza che viene a convalidare quanto già detto dal governo greco Syriza fin dall’inizio: il debito non può essere pagato, quindi ogni formula che non riconosca questo, semplicemente causerà una crisi ancora maggiore in futuro. Tale circostanza viene ribadita anche dalla lettera aperta di cinque economisti, Heiner Flassbeck, ex Segretario di Stato presso il ministero federale delle finanze tedesco, Thomas Piketty, professore di Economia presso la Scuola di Economia di Paris, Jeffrey D. Sachs, professore di Sviluppo Sostenibile, di politica e gestione sanitaria, nonché direttore dell’Earth Institute presso la Università di Columbia, Dani Rodrik, professore di Economia Politica Internazionale presso la Fondazione Ford, la Harvard Kennedy School, ed infine, Simon Wren-Lewis, professore di Politica Economica presso la Blavatnik School of Government e l’Università di Oxford, inviata al cancelliere tedesco Angela Merkel e pubblicata dal quotidiano The Nation(25), il 7 luglio 2015. In tale missiva vengono analizzati i programmi di austerità imposti alla Grecia, le misure per consentirle di rimanere nell’euro-zona ed il cambio di rotta da seguire per evitare un grande fallimento dell’EU28. Inoltre, viene sottolineato che negli anni cinquanta del XX secolo l’Europa si è formata sulla base della cancellazione dei debiti pregressi, in particolare della Germania, circostanza che ha permesso di promuovere la crescita economica e la pace dopo la guerra. Per questi motivi, viene chiesto di ristrutturare e ridurre il debito greco. Secondo gli economisti, occorre ripensare al fallito e duro programma di austerità degli ultimi anni e negoziare una notevole riduzione del debito greco con le riforme assolutamente necessarie in tale Paese. Per intraprendere queste misure indispensabili, servono decisioni coraggiose e generose che serviranno per le future generazioni, non solo in Europa, ma nell’intera Comunità Internazionale.

6. La Grande crisi economico – finanziaria che potrebbe colpire alcuni Paesi emergenti africani

Il quadro prima descritto, risulta molto preoccupante se sommiamo anche le affermazioni del Presidente della Banca centrale dell’India, Raghuram Rajan(26) (rinomato economista, uno dei pochi esperti a prevedere la crisi scoppiata nel 2007-2008), fra l’altro, per nulla incoraggianti. Rajan analizzando l’andamento dell’economia mondiale, prevede che nel caso in cui si continui con l’attuale politica monetaria, alcuni Stati membri della Comunità Internazionale potrebbero cadere in una nuova Grande Depressione, come quella del 1929, la quale è stata concepita seguendo lo stesso schema. L’analista, infatti, ritiene che attualmente alcuni Paesi si trovino ad affrontare gli stessi problemi degli anni trenta del XX secolo, per cui questa potenziale crisi di portata globale “risulterebbe anche un problema mondiale”, investendo non solo le economie avanzate, ma anche quelle emergenti.

Un tale monito viene confermato da recenti studi in cui si può vedere che sono considerati a rischio molteplici Paesi, a causa del loro debito; nel caso si verificasse una recessione economica o un salto improvviso dei tassi di interesse nei mercati del debito globale, si arriverebbe inevitabilmente ad un disastro. I bassi tassi di interesse nelle principali economie del mondo sono stati una delle risposte principali alla crisi del 2008, portando i governi, le imprese ed i consumatori a fare uso del prestito, assumendosi il peso dei potenziali problemi per il futuro.

Alcuni dei Paesi che ora sono a rischio, sono stati beneficiari del programma di riduzione del debito stilato dai leaders del G8, presentato in occasione del vertice di Gleneagles nel 2005(27), con l’idea che questo colpo di spugna avrebbe dato una spinta positiva ad economie già fragili. Sebbene alcuni governi abbiano investito il denaro in maniera oculata, diversificando lo sviluppo delle loro economie e investendo nelle infrastrutture, altri, hanno utilizzato tali aiuti in un maniera “frivola”. Attualmente, secondo Judith Tyson(28) del Overseas Development Institute i Paesi che hanno un alto rischio di crisi del debito pubblico netto superiore al 30% del PIL, con un deficit attuale superiore al 5% del PIL e dal futuro pagamento superiore al 10% delle entrate del governo, sono 14: Bhutan, Capo Verde, Dominica, Etiopia, Ghana, Laos, Mauritania, Mongolia, Mozambico, Samoa, Santo Tome y Principe, Senegal, Tanzania e Uganda(29). Il più vulnerabile di questi Paesi è la Tanzania, che nel 1990, ha subito una grave crisi del debito, ma più tardi ha ricevuto ed ha beneficiato della riduzione del debito internazionale nel 2001 e nel 2006. Il suo debito pubblico, purtroppo, ha continuato ad aumentare dal 2009, aggravato dalla riduzione delle esportazioni di oro e altri metalli preziosi e minerali, il cui prezzo è diminuito negli ultimi mesi. Circostanza generalizzata negli altri Paesi africani (e a livello globale) il cui debito è calcolato in dollari, e che sono, quindi, legati all’andamento del tasso di interesse sul dollaro americano. Ora, secondo Tim Jones del Jubilee Debt Campaign(30), l’aumento imminente del tasso di interesse da parte della Federal Reserve(31) e gli attuali livelli di prestito nei Paesi più poveri, rischiano di creare una crisi del debito pubblico generale, nonché quella del settore privato: molti dei prestiti ricevuti dai governi africani negli ultimi anni hanno tassi di interesse fisso quinquennale, ma, al momento del loro rifinanziamento, questi sicuramente dovranno scontare tassi molto più alti. Quest’innalzamento dei tassi fungerebbe da catalizzatore, con un grave impatto sui mercati globali: se i tassi salgono negli Stati Uniti, gli investitori saranno interessati a ottenere i loro soldi dalle economie emergenti più piccole e fragili, portando così ad una brusca inversione dei flussi di capitale.

7. Gli effetti della crisi economico – finanziaria odierna e la relativa caduta dei prezzi delle materie prime (petrolio e minerali) nei Paesi produttori: Australia e Paesi emergenti 

Questa catena di fragilità e di indebolimento, in base a quanto detto pochi giorni fa dal governatore della Banca centrale australiana Glenn Stevens e da Enrico Marro(32), analista del Sole 24 Ore, sta per colpire anche l’Australia, la quale, nonostante sia tra i pochi Paesi dell’esclusivo club della tripla A, ha davanti a sé un futuro non facile. Due i fattori che pesano sulle prospettive economiche di questo Paese, abituato a ritmi di crescita del Pil del 3-3,5%, sono da una parte il crollo verticale dei prezzi delle materie prime e dall’altra, la frenata della Cina, con cui Canberra ha un rapporto di dipendenza economica sempre più forte (ben il 34% delle esportazioni australiane sono dirette in Cina, una quota che al mondo è seconda solo a Taiwan). In pratica, l’anno scorso il 5,6% dell’economia australiana dipendeva dalla Cina, contro l’1,2% di un decennio fa. Inoltre, il deprezzamento del dollaro australiano voluto da Canberra, ai minimi da sei anni contro il dollaro statunitense, non sta dando all’economia lo slancio che si attendeva, aprendo così la porta a nuovi deprezzamenti. A tutto ciò si deve sommare un altro dramma: quello delle materie prime. L’Australia era definita “The lucky country”, il Paese fortunato, per mille motivi ma soprattutto perché piena di materie prime quali minerali ferrosi, carbone e oro. Ora, però, il crollo dei prezzi delle commodities sta mettendo a sua volta in pericolo il modello di business australiano: il minerale di ferro oggi viene scambiato a circa 50 dollari la tonnellata, contro i 180 dollari del 2011 con un crollo dei prezzi superiore al 70%; il carbone viaggia sui 60 dollari la tonnellata, poco più di un terzo rispetto ai 150 dollari di quattro anni fa. Questo spiega perché la bilancia commerciale australiana sia sempre più in sofferenza, con un deficit , nell’aprile scorso, a 4,14 miliardi di dollari americani. Un quadro critico, a cui si stanno aggiungendo il rallentamento dell’immigrazione e l’invecchiamento della popolazione. L’arrivo in massa di forze giovani, che garantiva una dinamica demografica, è da sempre stato uno dei motori di crescita del grande Paese. La crescita del prodotto interno lordo dipende infatti dall’espansione di produzione, popolazione e partecipazione di quest’ultima al mercato del lavoro. Ma anche questo motore sta iniziando a perdere colpi. Oggi la popolazione sta invecchiando, perché il tasso di natalità scende così come l’immigrazione: si stima che la popolazione australiana quest’anno crescerà di appena 160mila unità, contro le 360mila dell’anno scorso e le 400mila del 2013.

8. Il “capitalismo inclusivo”: antidoto per arginare il quadro macro-economico odierno

Ora in questo quadro reale della Comunità Internazionale del XXI secolo, come possono i garanti della giustizia farsi ascoltare dai governi al fine di mantenere «la ragionevolezza» senza dover sacrificare il diritto «a un’esistenza libera e dignitosa» (anche attraverso un’abitazione adeguata) e senza che le loro sentenze aprano un “buco” di svariati miliardi nel bilancio dello Stato? La riposta è molto semplice: attraverso il “capitalismo inclusivo”(33), che dia un beneficio a tutti, all’interno di un’economia di mercato che permetta di sviluppare pienamente i suoi talenti, ovvero “fiducia” e “opportunità”.

Quindi il primo passo da fare, è quello di assicurare che la crescita sia in “senso inclusivo”: le regole del gioco siano “uguali per tutti” in modo da favorire la maggioranza e non solo alcuni gruppi o settori. L’idea di un “capitalismo inclusivo” è possibile, sempre che questo sia “efficace” e “sostenibile”. Tuttavia l’aumento delle disuguaglianze in questo periodo, risulta uno dei temi principali dell’economia globale (non soltanto fra gli studiosi e gli operatori della giustizia sociale, ma anche fra i governi, i vertici delle banche centrali e le élite del mondo imprenditoriale).

Secondo lo studio World Wealth(34) del 2015 che analizza i 23 Paesi con più milionari, dal 1980 l’1% più ricco della popolazione ha aumentato la quota delle proprie entrate. Specificamente negli Stati Uniti, la quota delle entrate dell’1% della popolazione più ricca si è duplicata dagli anni 80 del XX secolo, tornando cosi ai livelli precedenti della Grande Depressione, aumentando la concentrazione di milionari, ad oggi pari a 4.351.000. Identica situazione si è verificata in Giappone con 2.452.000 milionari, in Germania con 1.141.000 milionari, in Cina con 890.000 milionari, nel Regno Unito con 550.000 milionari, in Francia con 494.000 milionari, in Svizzera con 343.000 milionari, in Canada con 331.000 milionari, in Australia con 226.000 milionari, in Italia con 219.000 milionari, in India con 198.000 milionari, in Olanda con 190.000 milionari, in Corea del Sud con 189.000 milionari, in Spagna con 178.000 milionari, in Arabia Saudita con 161.000 milionari, in Brasile con 161.000 milionari, in Russia con 155.000 milionari, in Kuwait con 141.000 milionari, in Hong Kong (Cina) con 138.000 milionari, in Norvegia con 127.000 milionari, in Messico con 125.000 milionari, in Taiwan (Cina) con 125.000 milionari, in Austria con 114.000 milionari, in Argentina con 111.000 milionari e in Singapore con 107.000 milionari, in cui la proporzione del capitale privato nelle entrate nazionali, è tornato ai livelli registrati un secolo fa.

Si pensi che le 85 persone più ricche(35) del mondo controllano la stessa quantità di beni che possiede la meta più povera della popolazione mondiale, pari a circa 3,5 miliardi di essere umani. Circostanza confermata dagli ultimi dati dei rapporti OCSE del 9 dicembre 2014(36) e del 21 maggio 2015(37), in cui si ribadisce che il compito principale dei governi è quello di raggiungere un’uguaglianza di opportunità e non solo un’uguaglianza dei risultati.

Ma il quadro reale dei Paesi colpiti dalla crisi odierna è un altro: infatti, il problema principale è che le opportunità non sono uguali per tutti. Gli attuali livelli di disuguaglianza in ambito globale, stanno portando molte persone ad avere accesso soltanto ai servizi primari, sempre nel caso in cui questi esistano. Di conseguenza, quando la disuguaglianza è eccessiva, il capitalismo risulta meno inclusivo.

Una concentrazione di ricchezza – senza nessun tipo di controllo – rischia di ledere e danneggiare il principio di uguaglianza contenuto nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948. Circostanza che non passa inosservata anche a figure autorevoli come quella di Papa Francesco(38) che nelle sue ultime dichiarazioni afferma che «la crescente disuguaglianza è l’origine di tutti i mali sociali».

Perciò non c’e da sorprendersi che dagli ultimi studi di diversi enti di ricerca economici a livello internazionale (che analizzano l’evoluzione di circa 173 Paesi negli ultimi 50 anni), venga ribadita la crescita della disuguaglianza sociale. Come è noto negli ultimi mesi le politiche fiscali(39), a livello globale, si stanno indirizzando su un profilo più efficace al fine di ridurre tali disuguaglianze(40), ad esempio, con i trasferimenti e le imposte sulle rendite, che in alcune economie avanzate hanno portato alla riduzione del problema della disuguaglianza di circa un terzo. Invece, in altri Paesi si è provato ad imprimere più progressività al regime del tributo sulla rendita, senza pero essere eccessivo; nonché a fare un maggiore uso delle imposte sulla proprietà, ampliando l’accesso all’educazione e alla sanità, ed infine ad attivare programmi sociali di supporto nel mercato del lavoro(41). In Europa, la maggior parte degli Stati membri dell’UE ha dovuto varare pesanti politiche di riduzione della spesa, con tagli che hanno colpito soprattutto le politiche sociali. A questo punto i fondi strutturali europei hanno assunto un ruolo strategico sia per le politiche di coesione che per le politiche di ripresa economica (si pensi che tra il 2007 e il 2012 il Fondo Social Europeo ha sostenuto 68 milioni di partecipazioni a progetti individuali) permettendo a circa 5,7 milioni di persone disoccupate o inattive di trovare un impiego a circa 8,6 milioni ed acquisire una qualifica professionale. Sono stati segnalati oltre 400.000 casi di nuove imprese create e di persone che hanno avviato un’attività di lavoro autonomo. Tali misure hanno contribuito a limitare la contrazione del PIL in molti Paesi o ad impedire un ulteriore aumento della disoccupazione; si stima che grazie all’intervento dei fondi strutturali, nei Paesi beneficiari, il PIL potrebbe aumentare del 2% e l’occupazione dell’1%. Tuttavia i rischi per le prospettive economiche dell’euro-zona restano orientati al ribasso, come è stato ribadito dalla BCE nel suo ultimo rapporto e da quanto riferito da Mario Draghi(42) nel mese di ottobre 2015.

Sfortunatamente, tali misure non sono sufficienti per riuscire a ridurre la disuguaglianza poiché non tutti possono beneficiare dei risultati delle politiche redistributive, andando a scontrarsi con il tema della “giustizia sociale”. Infatti, affinché il capitalismo realizzi il suo compito – permettendo ad un maggior numero di persone di partecipare e quindi beneficiare dell’economia – deve essere “inclusivo”, portando così a ridurre la disparità estrema nelle entrate e nei mezzi di sostentamento. A tale riguardo risultano molto utili gli studi sviluppati dal Presidente emerito della Corte costituzionale italiana, Prof. Franco Gallo, nella sua opera: Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione(43), in cui si argomenta che nel campo fiscale è il “pubblico” a dover prevalere sul “privato”, dal momento che la scelta della ricchezza da tassare e dei diritti sociali da soddisfare è frutto di valutazioni politiche delle maggioranze parlamentari, effettuate nel rispetto del principio di giustizia distributiva, e non la mera omologazione legislativa dei modelli e delle regole “private” del mercato.

9. Verso il riacquisto della fiducia: le linee-guida ed i principi per stabilire buone pratiche nel sistema bancario e trasparenza finanziaria. Il caso del microcredito Grameen Banked il caso dell’Infonavit

Ora per quanto riguarda “la fiducia verso il sistema finanziario” recepita dai cittadini del mondo, possiamo affermare che questa si trova all’ultimo posto nei sondaggi dell’opinione pubblica. Tale circostanza non ci sorprende, alla luce di alcuni fatti che hanno provocato l’odierna crisi finanziaria e delle successive vicende di alcune banche [fra tutti da ricordare, il casHongkong & Shanghai Banking Corporation (HSBC Holdings plc) e la «lista Falciani»(44) dal nome di Hervè Falciani(45), dipendente dell’istituto di credito che nel 2008 diffuse una decina di migliaia di dati riservatissimi riguardo ai forzieri della HSBC – dati che oggi, sono uno strumento per lo sviluppo degli indagini in alcuni tribunali(46) in temi di paradisi fiscali –, circostanza che riapre così di fatto lo scandalo SwissLeaks(47), una «affaire» con numeri da capogiro: 100mila nomi da verificare in 200 Paesi per raccontare i retroscena di un tesoro che vale oltre 102 miliardi di dollari, soldi transitati su conti svizzeri fra il 2005 e il 2007.

Per ironia della sorte, la parola creditose deriva dal termine fiducia in latino; tuttavia come è noto, i fattori che hanno dato luogo alla crisi odierna, e di conseguenza portato al collasso l’economia mondiale, sono stati gli “eccessi del capitalismo” che hanno fatto venir meno questa fiducia dei cittadini e di cui abbiamo già parlato nei paragrafi precedenti: tra questi eccessi si possono anche annoverare la permissiva concessione agli agenti finanziari di assumere rischi che avrebbero consentito di indirizzare i guadagni positivi verso le industrie o le rendite di capitale, essendo invece le perdite caricate o assorbite dal settore pubblico. Perciò alcuni dei maggiori problemi che ancora sono in corso, hanno avuto origine in quelle grandi aziende che hanno avuto un accesso spregiudicato al credito. Inoltre, nei 10 anni precedenti la crisi, i bilanci delle grandi banche di livello mondiale sono aumentati del doppio e del quadruplo. All’aumentare della loro misura è aumentato anche il rischio, nella forma di un minor livello di capitale, di un livello finanziamento meno stabile, di una maggiore complessità e di una maggiore volume di transazioni.

Come si può vedere, questo tipo di capitalismo è più “estrattivo” che “inclusivo”. Per cui la misura e la complessità delle “mega-banche” supponeva, in un certo modo, che tali istituzioni potessero “legare le autorità economiche dalle mani ai piedi”. Il sussidio implicito che hanno avuto queste istituzioni era quello di essere “troppo grandi da permettere il loro fallimento”, trovandosi in una capacita creditizia che permetteva loro di ottenere e di concedere prestiti più economici rispetto alle banche più piccole, aumentando così il rischio, e ostacolando la concorrenza. In seguito all’attuale crisi finanziaria si sta provando a correggere l’andamento del sistema finanziario a livello globale, su una linea che permetta di sviluppare il vero ruolo del sistema bancario, e cioè quello di prestare un servizio all’economia e non quello di governarla, riportandolo alla “sua vera natura”: beneficiare le persone, finanziando gli investimenti e stimolando la creazione di posti di lavoro per una crescita sostenibile.

Su questo argomento la Comunità Internazionale ha avanzato negli ultimi mesi diverse proposte di riforme, specialmente allo scopo di ricondurre la regolazione bancaria sotto le normative del «Comitato di Basilea», al fine di rafforzare i requisiti di capitale e liquidità per contribuire a creare un sistema più sicuro, più solido e più orientato ai servizi.

In merito ai principi per stabilire buone pratiche nel sistema bancario e per favorire la relativa adozione degli standard più aggiornati in materia di trasparenza finanziaria, bisogna ricordare quelle attuate dallo Stato Vaticano, grazie all’operato iniziato nel 2010 dal Pontificato di Papa Benedetto XVI e proseguito da Papa Francesco(48), misure che fra l’altro hanno dato dei frutti immediati, circostanza che è stata ribadita dalle casse pontificie. Infatti, lo Ior, ha chiuso i bilanci(49) del 2014 con un ottimo margine: un utile netto di 69,3 milioni di euro. Mentre nel 2013, l’attivo netto non aveva superato i 2,9 milioni.

A dare respiro alla situazione asfittica che si era creata nel 2013, è intervenuta l’azione di riforme dell’Istituto che da maggio 2013 al 31 dicembre 2014 ha risolto 4.614 contratti con clienti poco produttivi: 3.154 conti sono stati chiusi con atto vaticano unilaterale; di questi, 2.600 erano conti definiti “dormienti”, mentre 554 non avevano nulla a che fare con le cosiddette categorie vaticane e religiose, ovvero conti “laici”; i rimanenti 1.460 si sono estinti per cause naturali. Ma non è ancora finita: restano 274 conti di cui lo Ior sta definendo la chiusura. Da quanto emerge dal report dello Ior, a fine 2014, i clienti dell’Istituto erano 15.181. Lo Ior si è imposto la linea della fermezza per tutto quel che riguarda procedure anti-riciclaggio e trasparenza: gli illeciti sono stati denunciati alle autorità vaticane di competenza. Lo Ior spiega che il miglioramento dei conti è dato “essenzialmente dall’andamento del risultato della negoziazione dei titoli e dalla diminuzione dei costi operativi di natura straordinaria”. Inoltre, da ricordare l’accordo(50) della Santa Sede siglato con gli Stati Uniti(51) nel campo della lotta all’evasione fiscale, il primo accordo intergovernativo formale che codifica l’impegno di entrambe le parti a promuovere e ad assicurare un comportamento etico nel campo finanziario ed economico. L’accordo servirà a prevenire l’evasione fiscale e a facilitare «l’adempimento dei doveri fiscali da parte dei cittadini statunitensi che svolgono attività finanziarie nello Stato Città del Vaticano», attraverso uno scambio automatico di informazioni fiscali tra le autorità competenti delle due parti. Temi a cui Papa Francesco tiene moltissimo: «evadere tasse giuste significa rubare sia allo Stato sia ai poveri. Ogni persona ha, infatti, il dovere di contribuire, in carità e giustizia, al bene comune, secondo le proprie capacità e i bisogni degli altri, promovendo e assistendo le istituzioni pubbliche dedicate al miglioramento delle condizioni della vita umana». «Ogni anno l’evasione fiscale priva governi di ogni grandezza di risorse necessarie per finanziare servizi pubblici e investimenti».

Il Ex presidente Obama su questo argomento considerava che: «l’idea che un bambino possa non riuscire mai a sfuggire alla povertà, poiché privo di una educazione e di un’assistenza sanitaria dignitosa, o di una comunità che consideri il suo futuro come proprio, dovrebbe offenderci tutti e spingerci all’azione».

Risale al maggio 2013 il protocollo d’intesa tra l’Autorità di Informazione Finanziaria del Vaticano (AIF) e il Financial Crimes Enforcement Network (FinCEN) degli Stati Uniti, con il quale è stato previsto uno scambio di informazioni finanziarie, finalizzato al contrasto del riciclaggio e quindi operante in un contesto extrafiscale. Inoltre nei lavori del C-9, il consiglio dei cardinali che consiglia il Papa sulla riforma della Chiesa, ha proposto l’istituzione di una sorta di tribunale ad hoc per i vescovi inadempienti nel campo della lotta agli abusi.

Nonostante il lavoro svolto finora dalla Comunità Internazionale nel settore finanziario – seppur sia rilevante –, non basta per avere un cambiamento sostanziale nelle varie dimensioni della crisi: si osservano alcune modifiche sulla condotta, tuttavia queste non hanno una profondità e ampiezza sufficiente. Ancora oggi, nel settore finanziario continuano a prevalere la redditività a breve termine, al di sopra della prudenza di lungo termine. Negli ultimi mesi alcune grandi aziende sono state invischiate in grandissimi scandali tra tutti ricordiamo, il caso delle sei maggiori banche al mondo Barclays, Ubs, Rbs, Jp Morgan, Citigroup e BofA(52), che hanno dovuto pagare 5,6 miliardi di dollari di multa per risolvere la disputa con le autorità statunitensi e britanniche (un ammontare record che fa salire a 10 miliardi di dollari il totale delle sanzioni a carico degli istituti di credito per le pratiche illecite sul Forex) per aver infranto le norme etiche basilari del sistema finanziario: manipolazione del tasso LIBOR e tassi di cambio, riciclaggio di denaro, sequestri ipotecari illegali, etc. In questa difficile cornice, al fine di recuperare la fiducia nel settore finanziario, si avrebbe bisogno di un cambiamento verso una maggiore integrità e trasparenza dei conti. Si avrebbe bisogno di “una dimensione etica” più “solida” e “sistematica”. Nel caso concreto, per riprendere la strada corretta, è necessario che la Comunità Internazionale “intensifichi gli sforzi” per promuovere a lungo questa cultura fra i leaders, insieme alla creazione di organi di controllo(53) e monitoraggio coinvolgendo anche la società civile. Tuttavia l’azione più importante da fare è che sia gli investitori che i leaders finanziari prendano sul serio “i valori” come fonte di valutazione e “la cultura” come fonte del capitale. Infatti, il settore finanziario deve «rifondarsi in rapporti più stretti con i clienti e le comunità», ovvero con le persone a cui offre i propri servizi. In definitiva si deve sviluppare una maggiore “coscienza sociale” che penetri nel mondo finanziario e consenta così di cambiare per sempre il modo in cui tale settore porta avanti le sue attività.

Un primo passo su quanto è stato riferito, di recente l’ha fatto la Spagna, dove, il Partito emergente Podemos(54), attraverso il suo leader Pablo Iglesias, il Segretario di politica e analisi sociale Carolina Bescansa, e un gruppo di esperti in materia di economia del Consiglio Cittadino guidato da Nacho Álvarez, professore presso l’Università di Valladolid, ha incontrato, nei giorni scorsi i rappresentanti del Fondo monetario internazionale (FMI), il direttore generale Federico Jimenez Latorre, altri due membri dell’organizzazione e i grandi investitori stranieri (della banca statunitense Bank of America alle Merrill Lynch). L’incontro è stato “rassicurante” e si è svolto in un clima di riconoscimento e di condivisione parziale della diagnosi: nell’incontro gli imprenditori hanno manifestato e presentato la proposta contenente i cambiamenti necessari, per l’economia per combattere l’insicurezza e migliorare la produttività e le linee del suo piano economico, mentre i cittadini spagnoli hanno avanzato le loro proposte economiche e la loro visione sul debito pubblico del Paese. Da notare che tale riunione si è svolta in seguito di una richiesta da parte del FMI e si inserisce nei dialoghi con le diverse forze politiche e gli attori economici della Spagna (durante e dopo le elezioni regionali e comunali dello scorso 24 maggio 2015).

Oltre a questo primo passo straordinario compiuto dal FMI e dal Partito emergente Podemos della Spagna, esistono anche altri casi che praticano e perseguono da alcuni anni con successo il “capitalismo inclusivo”, come ad esempio la Grameen Bank fondata in Bangladesh nel 1977, banca ideata dal Prof. Muhammad Yunus(55) premio Nobel per la pace 2006. Il professor Yunus con questo progetto ha trovato il modo, accordando minuscoli prestiti ai “diseredati della terra”, di fornire al 10% della popolazione bengalese (dodici milioni di persone) gli strumenti per uscire dalla miseria, e di trasferire poi la sperimentazione del microcredito dal Terzo mondo ai poveri di altri Paesi. La banca presta denaro a tassi bonificati solo ai poverissimi: in questo modo coloro che non potevano ottenere prestiti dai tradizionali istituti di credito (in maggioranza donne) hanno trovato finalmente, la base economica che permette loro di prendere in mano il proprio destino. Oggi Grameen, oltre a essere presente in 36.000 villaggi del Bangladesh, è diffusa in 57 Paesi di ogni parte del mondo.

Nell’ambito del Social Housing, invece, da oltre oceano troviamo l’Infonavit, di cui abbiamo ampliamente parlato (http://www.domusxxi-ebook.com/italiano/)(56) ed in cui si intravedono già “pratiche e strumenti” necessari per trasformare il capitalismo in un motore di opportunità economiche per tutti, un “capitalismo inclusivo”.

Il Social Housing messicano, rappresentato dall’Infonavit non soltanto è un fulgido esempio di piena attuazione della tutela al «diritto alla casa», ma porta con sé dei disegni costituzionali “reali e concreti” che possono aiutare, fra le altre cose, a dare una prima spinta per “far sparire dalla faccia della terra” lo status di “senza tetto”, in vista di eliminarlo gradualmente; a rendere il costo dell’abitazione “accessibile” alle persone che non dispongono di risorse sufficienti; ed infine, a favorire con il suo operato di oltre 40 anni i custodi della giustizia a livello planetario, contribuendo a dare una lettura evolutiva del «diritto all’abitazione», con lo scopo di garantire una forma dignitosa di vita ad ogni essere umano.

Tutto ciò, consente di descrivere l’Infonavit non come un mero fondo finanziario, ma come “istituzione sociale” volta al perseguimento di una serie di obbiettivi che esulano dalla realizzazione di un profitto, volti a contribuire al progresso del Paese, ed aiutando il lavoratore, nel corso della sua vita lavorativa, fornendo opzioni di finanziamento che soddisfino diverse esigenze abitative, promuovendo così il benessere e la qualità della vita della sua famiglia . L’Istituto è stato in grado di affrontare le diverse difficoltà (anche di portata mondiale, come l’attuale crisi economica) “reinventandosi ogni giorno”, attraverso la ricerca degli strumenti finanziari più efficaci per incrementare le risorse disponibili per le politiche abitative, senza, però, gravare sulla economia dello Stato. Strumenti innovativi, quali i “certificati sulla casa” noti come “Cedevis”, collocati con successo nel mercato azionario messicano, dimostrano che è possibile attuare un “capitalismo inclusivo”, ovvero utilizzare il mondo delle finanze per scopi sociali e non solo per la realizzazione del profitto. Tale circostanza ha portato l’Infonavit ad un ampio riconoscimento e prestigio a livello internazionale, da parte dei principali enti finanziari ed autorevoli Osservatori, Centri di Ricerca e Atenei specialisti del Social Housing, fra cui The Joint Center for Housing Studies (The Harvard Graduate School of Design and the Harvard Kennedy School), senza tralasciare, poi, l’esito del sondaggio sulla soddisfazione dei dipendenti sul posto di lavoro, condotta dal Great Place to Work dal titolo “Le 100 migliori aziende per lavorare in America Latina”, in cui l’Infonavit si è posizionato al primo posto come migliore azienda nel settore pubblico in America Latina, secondo come azienda messicana, terza azienda nel settore finanziario e quarto come azienda pubblica con più di 2,500 dipendenti. Ed ancora, il riconoscimento avuto dall’Infonavit lo scorso 24 agosto 2014, come Most Sustainable Bank Mexico 2014, nella sede della London Stock Exchange, per essere una delle migliori istituzioni di Social Housing, con migliori pratiche innovative e di sviluppo di mercati finanziari a livello mondiale. Infine nell’ambito di sostenibilità attraverso il Programma Hipoteca Verde, l’Infonavit ha ricevuto nel 2009 il premio Stars of Energy Efficiency Award dell’Alliance to Save Energy e successivamente nel 2012 i premi World Habitat dall’ONU ed il Beyond Banking Award dalla Banca Interamericana di Sviluppo.

Attualmente, El Instituto del Fondo Nacional de la Vivienda para los Trabajadores (Infonavit) si è consolidato come una delle istituzioni ipotecarie più grandi del mondo: il primo ente finanziario in termini di amministrazione di portafoglio e il quarto più importante in conferimento di mutui. La sua partecipazione è vicina al 70% nel mercato ipotecario nazionale, il quale lo fa diventare l’attore più importante quanto ai propri attivi (portafoglio dei mutui).

Gli obbiettivi dell’Infonavit nei prossimi anni sono indirizzati a fare del «diritto alla casa» un “diritto degno e decoroso” per tutti i cittadini messicani; ci si augura che sia così tenendo in considerazione che dagli ultimi studi si osserva che ancora oggi oltre la meta della popolazione è esclusa dei programmi di Social Housing in seguito ai netti contrasti in termini di reddito (la disparità di reddito ed enormi divari restano non solo tra ricchi e poveri, ma anche tra il nord e il sud del Paese, e tra zone urbane e rurali).

10. Gli esiti della ricerca in merito all’andamento dell’economia globale in questo XXI secolo

Per quanto riguarda l’ esito del presente studio, sono emersi dei dati che consentono di affermare che la bella fotografia che mostra le facce sorridenti di quelle famiglie che hanno avuto la possibilità di non essere colpite dagli effetti della crisi economica degli ultimi anni, sfortunatamente non la possiamo rinvenire in alcuni altri Stati della Comunità Internazionale, ed in particolare in quei Paesi che hanno pagato i costi della crisi, fra cui la Grecia; al suo posto ci ritroviamo davanti delle immagini paragonabili a quelle della Grande Depressione, immortalate nel 1936 nel film Modern Times (Tempi moderni) interpretato, diretto e prodotto da Charlie Chaplin, in cui il regista inglese tocca con mano la disperazione dei senza lavoro, il dramma della sopravvivenza, la crescente disoccupazione e l’automazione presente nelle fabbriche, lo sfruttamento, i milioni di esseri umani sulla strada verso un futuro incerto.

11. Gli effetti benefici della crisi nell’Uomo secondo Albert Einstein

Tuttavia questa dura realtà prima descritta non deve spaventare, anzi è proprio in questo contesto di crisi che la creatività degli esseri umani si esprime con bellissime opere d’arte, quindi, oggi è il momento giusto per modificare questa realtà.

Albert Einstein nell’opera Il mondo come io lo vedo del 1931(57) (testo che raccoglie scritti non strettamente scientifici, ma riflessioni sui grandi temi della vita), supera il suo campo di azione per spaziare negli altri ambiti della conoscenza, collocandosi in quella posizione “meta” abitata dai filosofi. Forse anche per questa ragione il suo pensiero è in grado di parlare all’uomo contemporaneo: la crisi viene definita una “benedizione”.

In questo XXI secolo. Agli Stati membri della Comunità Internazionale che stanno vivendo dei momenti drammatici per gli effetti della crisi economico – finanziaria, potrebbe suonare come provocazione, quasi un’espressione irriverente nei confronti di chi patisce.

Tuttavia guardiamo nel dettaglio il periodo in cui il testo è stato scritto (nel 1931, anno in cui è stato massimo il riverbero in Europa della grande crisi economica del 1929 scoppiata in America). Una Europa caduta in default, la disoccupazione dilagante e poi la guerra. Una realtà che spingerà Einstein a rifugiarsi negli Stati Uniti due anni dopo. “Benedizione” non può dunque assumere una connotazione cinica. Bisogna piuttosto considerare che è prerogativa del pensiero geniale l’andare oltre il contingente, superare il proprio “particolare”. Solo così è possibile cogliere il significato autentico delle parole dello scienziato ed intendere la crisi come sfida, apertura di opportunità e leva di progresso.

Per Einstein il vero pericolo è attribuire alla crisi la responsabilità dei propri fallimenti e quindi rimanere prigionieri della propria inattività, a scapito del talento, della creatività, della ricerca di vie d’uscita. L’unica crisi pericolosa diventa, allora, la tragedia di non voler lottare per superarla: «Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi “porta progressi”. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla».

12. La “guerra dei numeri” e la strategia difensiva fondata sulla speranza, la buona volontà, il senso di fratellanza, il lavoro di squadra, l’ingegno, la saggezza e soprattutto l’Amore, molto Amore e moltissima Umanità: il piano Mrs T. 

Sebbene sembri tutto irreparabile, una “guerra dei numeri” perduta, in cui addirittura abbiamo perso le gambe per muoverci, non si deve perdere la speranza; una soluzione c’è sempre nella vita, soprattutto se c’è buona volontà, senso di fratellanza, lavoro di squadra, ingegno, saggezza e soprattutto Amore, molto Amore e moltissima Umanità, come quella espressa dai due anziani inglesi Jude e Linzi Ryder e dal loro figlio James Dale Sinclair-Jones nei confronti della loro tartaruga Mrs T. La storia(58) si svolge in Pembrokeshire, nel Galles occidentale; Mrs T è un’esemplare di 90 anni che aveva di fronte a sé un futuro tragico: mentre si trovava nel consueto letargo invernale un roditore l’ha attaccata, strappandole una grande porzione delle zampe anteriori. Inutile dire che i proprietari sono rimasti scioccati quando, controllando la tartaruga, l’hanno trovata in quelle condizioni. Decisi a non arrendersi e grazie all’ingegno e lavoro in squadra col figlio, l’animale ha ritrovato autonomia. Diagnosi e primi soccorsi: in primis Mrs T, è stato portato dal veterinario che si è impegnato per salvarla, poiché temeva che la tartaruga non sarebbe sopravvissuta a lungo senza potersi muovere. Così, dopo aver pagato un conto per le cure veterinarie di circa mille sterline, i signori Ryder si sono rivolti al figlio Dale, un ingegnere meccanico, per chiedergli aiuto. Intervento chirurgico: l’ingegnere, recuperando un paio di ruote da modellismo di aereo ed usando una resina per fissare il dispositivo alla parte anteriore del guscio dell’animale, ha ridato autonomia a Mrs T. Secondo Mrs Ryder la tartaruga «Sembra abbastanza felice, ma certo è difficile dirlo, con una tartaruga. Mrs T è ancora abbastanza giovane: può andare avanti per altri 50 anni, tutto quello di cui ha bisogno è un nuovo set di gomme ogni tanto. Avevamo paura, ma le sue nuove ruote le hanno salvato la vita. Ha usato da subito le ruote ma deve ancora imparare come curvare e fermarsi. Lei usa le zampe posteriori per spingersi in avanti. Raggiunge velocità più alte rispetto al passato e possiamo sempre trovarla, perché lascia tracce molto strane dietro di sé».

13. Il giorno della consapevolezza: chi siamo e dove vogliamo arrivare, due riflessioni basilari

Ora prima di concludere, vorrei fare ancora due riflessioni basilari: la prima riguarda una vecchia storiellina sul mendicante musicista. Questa storia parla di un uomo che riflette nella sua forma di vestire la sconfitta e nella sua forma di agire la mediocrità totale. La storia si svolge a Parigi, in una strada secondaria del centro. Questo uomo, sporco, puzzolente, suonava un vecchio violino. Di fronte a lui e per terra c’era il suo berretto, con la speranza che i passanti avessero pietà della sua condizione e gettassero alcune monete da portare a casa. Il poveretto cercava a tutti costi di suonare una melodia, ma era del tutto impossibile identificarla a causa della difettosa accordatura dello strumento e al modo sgradevole e noioso con cui suonava il violino. Un famoso concertista, che insieme con la moglie e alcuni amici usciva da un vicino teatro, passò di fronte al mendicante musicista. Tutti, all’udire quei suoni così discordanti, storsero la faccia e non poterono fare a meno di ridere. La moglie del concertista chiese al marito di suonare qualcosa. L’uomo guardò le poche monete all’interno del berretto del mendicante e chiese il violino al mendicante musicista che glielo porse con un certo sospetto. La prima cosa che fece il concertista fu regolare le corde del violino, e poi, con forza e sapienza, iniziò un’affascinante melodia suonando il vecchio strumento. Gli amici iniziarono a battere le mani ed i passanti cominciarono a raccogliersi intorno per guardare la performance improvvisata. Durante l’ascolto della musica, la gente dalla vicina strada principale andò a sentire e ben presto si formò una piccola folla che ascoltava estasiata lo strano concerto. Il berretto non solo si riempi di monete, ma anche di molte banconote di vario importo. Mentre il maestro suonava una melodia dopo l’altra, con tanta gioia, il mendicante musicista, gioiva nel vedere cosa stava accadendo all’interno del suo berretto ed a quel punto non cessava allegramente di saltare di gioia e di ripetere orgogliosamente a tutti: “Questo è il mio violino!! Questo è il mio violino!!. Il che, naturalmente, era vero.

Così la vita ha regalato a tutti gli essere umani “un violino”, questo violino rappresenta la conoscenza, le competenze e le attitudini. Quindi gli esseri umani hanno la libertà assoluta di suonare “quel violino” al loro piacimento. Infatti, com’è noto gli esseri umani hanno il libero arbitrio, cioè, il potere di decidere ciò che faranno della loro vita, e questo, naturalmente, è un meraviglioso diritto, ma anche una responsabilità formidabile. Alcuni, per pigrizia, non affinano quel violino. Non percepiscono che nel mondo di oggi bisogna preparasi, imparare, sviluppare le abilità e migliorare costantemente le attitudini nel caso si desideri dare un bello spettacolo.

Tanti esseri umani pretendono un berretto pieno di soldi, e ciò che essi offrono è una melodia stonata che a nessuno piace. Quelle sono le persone che fanno il loro lavoro: “Così, così…”, che pensano nei termini: “Non me ne importa nulla…”, e tuttavia credono che l’umanità sia tenuta a rimborsare le loro cattive prestazioni e coprire i loro bisogni. Si tratta di persone che pensano solo ai loro “diritti”, ma non sentono mai l’obbligo di “guadagnarseli”.

La verità, per quanto dura possa sembrare, è un’altra: tutti gli esseri umani (cittadini del mondo), devono imparare prima o poi, che i posti migliori sono per coloro che non solo affinano bene quel violino, ma che imparano giorno dopo giorno a suonarlo magistralmente. Quindi bisogna essere disposti a fare il lavoro quotidiano, qualunque lavoro sia e avere il desiderio di prepararsi per essere in grado di fare altre cose che potrebbero piacere. La storia è piena di esempi di esseri umani che, anche con delle difficoltà iniziali sono diventati degli ottimi “concertisti” con quel “violino” che è la vita. Purtroppo, la storia ha anche registrato casi di molti altri esseri umani, che, avendo delle grandi opportunità, hanno deciso con quel “violino” di essere dei “mendicanti”.

La verità è che si può fare qualcosa di grande della vita, o fare di quella, qualcosa di mediocre.

Questa è una decisione personale.

L’aspetto negativo di questa storia nel caso di cui ci stiamo occupando, è il rifiuto da parte di molti esseri umani di “affinare bene” il “violino della vita”, per poi lamentarsi che la gente non goda della loro melodia. L’aspetto positivo è la consapevolezza degli esseri umani – che a questi piaccia o meno –, che si riuscirà a prosperare soltanto se quel “violino” verrà “accordato” e si imparerà a trarre da esso le migliori melodie.

La seconda riflessione riguarda l’eredità universale del grande giurista italiano Piero Calamandrei, ed in particolare, di quanto ha insegnato ai cittadini del mondo, attraverso il suo discorso(59) sulla Costituzione, tenutosi a Milano il 26 gennaio 1955.

Sono passati 60 anni da questa Lectio Magistrali, se oggi fosse fatta una rilettura non soltanto per i cittadini italiani, ma per tutti i cittadini del mondo, forse sarebbe formulata in questo senso: «Secondo quanto è stabilito dalla Carta delle Nazioni Unite e dello Statuto delle Nazioni Unite, tutti gli esseri umani capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. E se non hanno mezzi? Allora nelle diverse Costituzioni di ogni Stato membro della Comunità Internazionale ci sono degli articoli, che sono i più importanti, i più impegnativi; soprattutto per le generazioni presenti e quelle future, che recitano: E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini del mondo che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Infatti, è compito di ogni Stato membro della Comunità Internazionale di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi gli Stati devono dare lavoro a tutti i cittadini del mondo, devono dare una giusta retribuzione a tutti, devono dare la scuola a tutti, devono dare a tutti i cittadini del mondo dignità di essere umano. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nelle Carte costituzionali di ogni Repubblica democratica che garantisce e tutela il diritto al lavoro corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza con il proprio lavoro i mezzi per vivere da essere umano, non solo le rispettive Repubbliche presenti a livello globale non si potranno chiamare rispettose del diritto al lavoro, ma non si potranno chiamare neanche democratiche. Una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto è una democrazia puramente formale, non è una democrazia, lo sarà quando tutti i cittadini del mondo veramente saranno messi in grado di concorrere alla vita delle rispettive Società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini del mondo saranno messe a contribuire in questo cammino, in un progresso continuo di ogni Società presente a livello planetario. E allora voi cittadini del mondo, da questo capite che le Costituzioni sono solo in parte una realtà. In parte sono ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere. Quanto lavoro c’è da compiere! Quanto lavoro c’è dinnanzi! Ma c’è una parte delle Costituzioni che sono una polemica contro il presente, contro le Società presenti. Perché quando nelle formule solenni si dice: E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, si riconosce, in tal modo, che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto e che bisogna rimuoverli. Le Costituzioni danno un giudizio, un giudizio polemico, un giudizio negativo, contro gli ordinamenti sociali attuali, che bisogna modificare, attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini del mondo. Ma non sono delle Costituzioni immobili, che abbiano fissato un “punto fermo”: sono Costituzioni che aprono le vie verso un avvenire, delle Costituzioni rinnovatrici, progressive, che mirano alla trasformazione di queste Società, in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e politiche, siano rese inutili, dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità, per molti cittadini del mondo, di essere persone, e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della Società. Quindi, polemica contro il presente, in cui viviamo, ed impegno a fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente».

Ora, con quelle incoraggianti riflessioni sulla crisi dello scienziato Albert Einstein, con la drammatica esperienza della novantenne tartarugMrs T. (diventata poi una storia straordinaria, fantastica, grazie alla speranza, la buona volontà, il senso di fratellanza, l’ingegno, la saggezza, il lavoro di squadra e soprattutto Amore, molto Amore e moltissima Umanità dei due anziani inglesi Jude e Linzi Ryder e il loro figlio ingegnere James Dale Sinclair – Jones), con la storiellina sul mendicante musicista (che ci permette di potenziare i nostri talenti) ed infine, con il messaggio universale dell’illustre giurista italiano Piero Calamandrei, concludiamo questo viaggio dantesco nelle diverse realtà della Comunità Internazionale, che ci ha permesso, di ubicarci nello spazio – tempo, e prendere consapevolezza di chi siamo (esseri umani), quale è la nostra ragione di vita, quali sono le cose importanti nella vita per noi, dove vogliamo arrivare, al fine di essere in grado di rivedere il presente, riportare le esperienze passate attraverso un punto di vista interdisciplinare (antropologico, etico, filosofico, sociologico, giuridico ed economico) e così evitare di ripetere gli errori e soprattutto i vizi che possono mettere a rischio la nostra impresa futura: il sogno della Comunità Internazionale del XXI secolo, ovvero il passaggio ad un “capitalismo inclusivo”: antidoto per arginare il quadro macro-economico odierno.

NOTE:

1I presenti dati statistici sono reperibili presso il sito dell’osservatorio Trust Barometer 2015: http://www.edelman.it/trustbarometer/

2Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE): http://www.oecd.org/economy/

3Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web: http://www.gallup.com/poll/180374/gallup-top-world-findings-2014.aspx

4Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web della Banca Mondiale: http://www.worldbank.org/

5Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo: http://www.worldbank.org/ibrd/

6Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web dell’Agenzia internazionale per lo sviluppo: http://www.worldbank.org/ida/

7Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web del Fondo Monetario Internazionale: http://www.imf.org/external/research/index.aspx

8Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web della Riserva Federale (Fed): http://www.federalreserve.gov/econresdata/default.htm

9Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web della Banca Africana: http://www.afdb.org/en/documents/

10Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web della Banca Asiatica: http://www.adb.org/data/main

11Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web della Banca centrale europea: https://www.ecb.europa.eu/pub/html/index.en.html

12Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web del Forum economico mondiale: http://www.weforum.org/reports

13Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web dell’Eurostat: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/eurostat/home/

14Su questo interessante argomento si veda gli articoli di Max Seitz, ¿Qué países son los peores deudores de la historia?, BBC Mundo, 24 luglio 2014 e Los países que más “defaults” han tenido en la historia (y no son Grecia ni Argentina), BBC Mundo, 29 giugno 2015.

15Cfr. Rebeca Gómez Galindo, La cara de la pobreza en los EU, El Universal (viveUSA), 17 luglio 2015.

16Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web: http://www.pewresearch.org/

17Cfr. Romina BocciaA Scary Thought: Could America Become the Next Greece?, The National Interest, 15 luglio 2015.

18Cfr. The EconomistWorld debt comparison, The global debt clock. Our interactive overview of government debt across the planet, ottobre 2014.

19Cfr. Stephen Dinan, Government debt threatens to send U.S. economy into death spiral, CBO warns, The Washington Times, 16 giugno 2015.

20Cfr. Elías Gutierréz, ¿Es Puerto Rico la Grecia del Caribe?, Metro, 3 luglio 2015.

21Cfr. Paul Krugman, Los otros desastres económicos de Europa, El País. 4 luglio 2015.

22Cfr. Forbes, Otra crisis se cierne sobre Europa (y no es Grecia), luglio 2015.

23Cfr. Matt O’Brien, The euro is a disaster even for the countries that do everything right, Washington Post, 17 luglio 2015.

24Cfr. Yannis Behrakis, Exclusive: Greece needs debt relief far beyond EU plans – Secret IMF report, Reuters, 17 luglio 2015. Tale rapporto è stato confermato dal FMI: e seguito dalla comunicazione che il Fondo non parteciperà in alcun pacchetto di salvataggio della Grecia. Tuttavia, il FMI siederà comunque, in quanto membro della Troika, al tavolo del negoziato in corso con le autorità greche ma deciderà in un secondo momento quanto e come partecipare al terzo pacchetto di aiuti, la cui cifra è fissata dall’Eurosummit tra 82-86 miliardi. In particolare, il Fondo non finanzierà la Grecia senza un impegno alla ristrutturazione del debito da parte dei Paesi dell’area euro e senza ulteriori riforme da parte di Atene. I Paesi dell’euro zona avevano già considerato un possibile rinvio della decisione del Fondo, tanto che il ministro dell’economia tedesco Wolfgang Schaeuble, aveva già avvertito i deputati della Camera bassa che l’istituto non avrebbe partecipato alla prima tranche di aiuti, del 20 agosto 2015, per consentire ad Atene di saldare il pagamento dei 3,4 miliardi di euro in scadenza alla Bce. Il Fmi potrebbe quindi entrare nel piano in autunno, dopo la prima review (o valutazione) dell’applicazione del nuovo Memorandum.

25Cfr. The NationAusterity Has Failed: An Open Letter From Thomas Piketty to Angela Merkel, 7 luglio 2015.

26Cfr. The HinduWorld economy may be slipping into Great Depression problems: Rajan, 26 giugno 2015.

27Cfr. Il Sole 24 Ore, Lotta alla povertà al tavolo dei ricchi, 6 luglio 2005.

28Heather Stewart, Beyond Greece, the world is filled with debt crises, The Guardian, 11 luglio 2015.

29Cfr. Enrico Marro, I tassi Usa innescano la bomba debito: ecco i 14 Paesi che rischiano di saltare in aria, Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2015.

30Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web: http://jubileedebt.org.uk/wp-content/uploads/2015/07/The-new-debt-trap_07.15.pdf

31Cfr. Andrea Franceschi. I mercati festeggiano il rinvio della stretta Fed, rally degli emergenti, Il Sole 24 Ore, 9 ottobre 2015.

32Cfr. Enrico Marro, Addio sogno australiano. Ecco perché la crisi sta per colpire anche il Paese dei canguri, Il Sole 24 Ore, 22 luglio 2015.

33Sulla vastissima letteratura si veda, in particolare, Christine Lagarde, Inclusión económica e integridad financiera: Discurso pronunciado ante la Conferencia para un Capitalismo Inclusivo, IMF.ORG, 27 maggio 2014 e Cfr. BBC Mundo, ¿Qué debe hacer el capitalismo para ser incluyente?, 28 maggio 2014.

34Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web del World Wealth: https://www.worldwealthreport.com/

35Su questo interessante argomento si veda i seguenti articoli: Cfr. El Economista, La razón de la fortuna de los 10 hombres más ricos. Las tres personas más ricas del mundo: Bill Gates, Carlos Slim y Warren Buffet suman una fortuna de 229,000 millones de dólares, monto ligeramente superior al Producto Interno Bruto de Perú del 2013, 16 maggio 2015; Cfr. El Economista, Los hombres más ricos generan 60.5 mdd en un día. Cada día y según lo evidencia el ranking de Bloomberg, los grandes magnates del mundo ganan miles de dólares en un segundo, 8 aprile 2012; Cfr. El Economista, Así invierten los más ricos del orbe. De acuerdo con la revista Forbes, las mayores fortunas del planeta tienen muchos rasgos en común: Bill Gates, Carlos Slim y Amancio Ortega, son hombres que han creado de la nada su imperio, de más de 50 años y, sobre todo, que han diversificado sus inversiones, 10 marzo 2014.

36Su questo interessante argomento si veda l’articolo di Marco Moussanet, Ocse: la crisi allarga la disparità di reddito a livelli record in Italia, Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2014; Cfr. Il Sole 24 Ore, L’Ocse fotografa l’Italia iniqua: cresce il divario tra ricchi e poveri. È allarme per gli under 25 Ricchezza distribuita in modo sempre più disomogeneo, giovani più poveri, lavoratori atipici che restano tali per anni. Ecco L’Italia fotografata dal rapporto Ocse sulle disuguaglianze, 21 maggio 2015; Cfr. Carlos YárnozLa crisis lleva la desigualdad entre ricos y pobres a niveles récord. El 10% de los españoles menos favorecidos perdieron un 13% anual de ingresos por un 1,5% de los más pudientesEl País, 21 maggio 2015; Cfr. Amanda Mars, La OCDE alerta del lastre de la desigualdad para el crecimiento. La proporción del empleo de alta y baja cualificación aumenta en los países avanzados a costa de los puestos intermedios, El País, 22 maggio 2015.

37I presenti dati statistici sono reperibili presso il sito dell’osservatorio: http://www.keepeek.com/Digital-Asset-Management/oecd/employment/in-it-together-why-less-inequality-benefits-all_9789264235120-en#page1.

38Sulla vastissima letteratura si veda, in particolare, Franca Giansoldati, Papa: «L’attaccamento alle ricchezze è l’inizio di ogni genere di corruzione», Il Messaggero, 25 maggio 2015.

39Cfr. Antón Costas, Bajar los impuestos o reducir la pobreza, Hay razones para alegrarse por esta vuelta al crecimiento. Ahora, se trata de que sus beneficios lleguen a todo el mundo, El País, 24 maggio 2015.

40Su questo argomento si veda l’interessante articolo di Antón Costas, El fatalismo de la desigualdad inevitabile. Las preferencias del conjunto de la sociedad deben pesar más que las de los muy ricosEl País, 29 marzo 2015.

41Al riguardo si veda un interessantissimo studio contenuto nel Rapporto ILO sulle Tendenze 2015 nel settore sociale e dell’occupazione Pubblicato dall’ILO (International Labour Office), il rapporto comprende una previsione sui livelli globali di disoccupazione e prende in esame i fattori dietro questa tendenza, comprese la persistenza della disuguaglianza e la diminuzione delle quote salariali. Analizza i motori della classe media in ascesa nel mondo sviluppato, nonché i rischi di conflitti sociali, in particolare in aree di elevata disoccupazione giovanile. Il rapporto espone i fattori caratterizzanti del mondo del lavoro, compresi l’invecchiamento della popolazione e il cambiamento nelle qualifiche richieste dai datori di lavoro. Secondo il rapporto, i giovani lavoratori tra i 15 e i 24 anni sono quelli maggiormente colpiti dalla crisi, con un tasso di disoccupazione globale di quasi il 13 per cento nel 2014 e un ulteriore incremento previsto per i prossimi anni. Per saperne di più, si consiglia visitare la pagina web: http://www.ilo.org/global/research/global-reports/weso/2015/WCMS_337069/lang–en/index.htm

42Cfr. Alessandro Merli e Riccardo Sorrentino, Draghi, monito ai Paesi da alto debito. Bce pronta ad agire rafforzando il Qe, Il Sole 24 Ore, 10 ottobre 2015.

43Cfr. Franco Gallo, Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, Il Mulino, 2011.

44Angelo Mincuzzi, SwissLeaks, i nomi eccellenti della «lista Falciani». La Francia ha già chiesto i risarcimenti, Il Sole 24 Ore, 9 febbraio 2015.

45Cfr. Angelo Mincuzzi, Falciani a Radio24: chi cerca il segreto nasconde qualcosa, Il Sole 24 Ore, 14 febbraio 2015.

46Cfr. Alessandro Galimberti, Lista Falciani, piena utilizzabilità, Il Sole 24 Ore, 20 Agosto 2015.

47Cfr. Il Sole 24 Ore, Il Ceo di Hsbc: «Una vergogna lo scandalo Swissleaks». Ma anche lui ha un conto in Svizzera, 23 febbraio 2015; Angelo Mincuzzi, Esclusivo/ SwissLeaks, parla Falciani: «Non è finita qui, coinvolte altre banche», Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2015.

48Cfr. Luigi Zingales, La lezione di management di Papa Francesco, Il Sole 24 Ore, 26 settembre 2014; Marco Mobili e Carlo Marroni, Accordo Italia-Santa Sede: crolla il segreto bancario dello Ior, Il Sole 24 Ore, 1 aprile 2014; Carlo Marroni, Il Papa scommette sullo Ior: continuerà a fornire servizi finanziari, Il Sole 24 Ore, 7 aprile 2014; Carlo Marroni, Ior, slitta la vera riforma: istituto meno autonomo, Il Sole 24 Ore, 7 aprile 2014; Il Sole 24 Ore, Bergoglio salva lo Ior e dà più poteri all’Apsa, 8 aprile 2014; Marzio Bartoloni e Carlo Marroni, Ior: bilancio 2013 in calo di 83 milioni. Parte la fase II della riforma, Freyberg verso l’addio, Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2014; Carlo Marroni, Ior, pronto il cambio al vertice e la riforma, Il Sole 24 Ore, 8 luglio 2014; Carlo Marroni, Accordo Italia-Santa Sede, il segno di un cambiamento (in alto), Il Sole 24 Ore, 1 aprile 2015; Alessandro GalimbertiPace fiscale tra Italia e Santa Sede, Il Sole 24 Ore, 2 aprile 2015; Carlo Marroni, Ior, Francesco blocca il progetto di una Sicav a Lussemburgo, Il Sole 24 Ore, 22 maggio 2015; Carlo Marroni, Vaticano, authority nel 2014 blocca operazioni sospette per 561mila euro, Il Sole 24 Ore, 29 maggio 2015; Ior: utili 2014 in forte crescita, dividendo al Vaticano di 55 milioni. Chiusi 4.614 conti, Il Sole 24 Ore, 25 maggio 2015; Carlo Marroni, Vaticano, più controlli sulla finanza, Il Sole 24 Ore, Sabato 30 Maggio 2015.

49Cfr. Carlo Marroni, Vaticano: aumenta patrimonio per fondi extrabilancio, deficit stabile. Dallo Ior 50 milioni, Il Sole 24 Ore, 16 luglio 2015; Carlo Marroni, Il patrimonio della Santa Sede sale di 1,1 miliardi, Il Sole 24 Ore, venerdì 17 Luglio 2015; Il Sole 24 Ore, Climate change e i risparmi delle diocesi, 29 agosto 2015.

50Cfr. Carlo Marroni, Firmato accordo fiscale tra Santa Sede e Stati Uniti, Il Sole 24 Ore, 10 giugno 2015; Antonella Ciancio, Dialogo fitto anche sui temi finanziari, Il Sole 24 Ore, 23 Settembre 2015.

51Al riguardo si veda gli interessantissimi articoli di Mauro Del Corno, Se finanza non fa rima con etica: negli Usa il 10% subisce pressioni per violare le regole. Uno su 5 tra i manager, Il Sole 24 Ore, 20 maggio 2015; Cfr. BBC Mundo, La corrupción en Wall Street vista desde dentro, 21 maggio 2015.

52Cfr. Giuliana Ferraino, Multe da 5,6 miliardi a 6 banche per gli scandali su tassi e cambi. Barclays, Ubs, Rbs, Jp Morgan, Citigroup e BofA dovranno pagare per chiudere le dispute con la Fed e le altre autorità Usa per le manipolazioni su Libor e Forex, Corriere della Sera, 20 maggio 2015.

53Su questo interessante argomento si veda l’articolo di Claudi Pérez, El sistema financiero internacional reclama ahora más regulación. Una veintena de grandes banqueros internacionales piden en un documento del Foro Económico Mundial más control públicoEl País, 17 maggio 2015.

54Cfr. Francesco Manetto e Juan José Mateo, Podemos y Ciudadanos trasladan al FMI sus propuestas económicas, El País, 5 giugno 2015.

55Cfr.Yunus MuhammadI banchieri dei poveri, Feltrinelli, 1998; Il credito come diritto umano, CNS-Ecologia Politica, nn. 1-2, gennaio-giugno 2004, Anno XIV, fascicoli 57-58.

56Cfr. http://www.domusxxi-ebook.com/italiano/

57Cfr. BBC NEWS, Tortoise, 90, fitted with wheels following rat attack, 27 aprile 2015.

58Cfr. Einstein Albert, Il mondo come io lo vedo. A cura di Mauro W., Newton Compton, 2012.

59L’audio registrazione del Discorso sulla Costituzione tenuto da Piero Calamandrei il 26.1.1955 ad iniziativa della Società Umanitaria di Milano (www.umanitaria.it) è accessibile attraverso you tube: parte I, parte II, parte III. Si può consultare nella pagina web: http://www.issirfa.cnr.it/4397,46.html